venerdì 5 novembre 2010

Le Grenouille

Le Grenouille

Stanotte è notte stralunata di freddo e di pioggia e di jazz.
Le Grenouille. Un piccolo locale coperto di fumo e cappelli strani e discorsi stonati dove si suda IL jazz, quello vero. La tana dei senza tempo e con troppo/poco bagaglio nella propria storia. La tana dei lupi cattivi. Mai abbastanza cattivi. La tana degl’elefanti. Memoria lunga cesello del passato. Guardare sempre avanti. L’isola che non c’è di tutti quelli che si sentono senza navigare, naviganti.

Jazz di sottofondo culla verso il live che arriverà tra un quarto e che si alterna a relax accattivanti o ad improvvisazioni che improvvise strabiliano. Note di boccali che sbattono sui legni. Fanculi e frasi jazzing di cui solo i peggiori sono degni. Note Blue Note style scivolano finanche ad Autumn Bleed del sax contralto del Maurizio Giammarco Quartet. Credo l’unico italiano ad aver inciso, anni or sono, per La Mitica.
Qui persino Paolo Fresu è amato e considerato l’incredibile compositore/trombettista che è. Ed il basso di Jordan a nessuno verrebbe in mente di paragonarlo, com’è stato scritto uguale a una bestemmia, a quello di Pastorius. Qui conoscono persino a memoria -celebrandoli- tutti i fraseggi che Enrico Rava ha spilluzzicato qua e là dal pentagramma onusto del jazz.

Che aria al le Grenouille. Che localino. Trenta posti a sedere. Bancone lungo, essenziale ed olandese al midollo. Puzzo di legno e birra e gin a tsunami. Foto in bianco e nero che raccontano il jazz appese alle pareti sollecitano vecchie fantasie dei perdenti che non si sono mai arresi.
Ed ogni sera…Jazz live and free enter!..Ogni sera!
Qua puoi ascoltare il miglior jazz prodotto da studenti di tutto il mondo che conoscono a menadito le lezioni dell’oscuro Mingus, di quel razzista/genio di Jarrett, delle follie terapeutiche del soprano di Coltraine fino al contralto limpido di buon umore di Rollins.
Qui tutti sanno quando Charlie Parker ha inciso il suo primo album e quando tirò fuori dal suo cilindro bep bop quel giovane trombettista che sarebbe poi diventato Miles Davis. Qui nessuno si permetterebbe mai di dare a Billy Holliday della drogata. Qui Billy Holliday vale Shiva e tutta la fila di sante e beate a seguire, e possedere la discografia completa di Chat Baker vale tre viaggi alla Mecca. Qui ha suonato persino Stan Getz e Bebel Gilberto ha posato il suo meraviglioso culetto su quello sgabello con una chitarra e un contrabbasso a ricamare quella voce che si insinua nelle coscienze.
Qua siamo tutti figli di una religione strana. Piena di santi senza gloria.
Jij is Le Grenouille.

Ed è sempre e solo quando uno si siede in locali come questo che gli può prendere “qualcosa” allo stomaco, -niente di strano e tanto di jazz- ma con un che di meraviglioso nel godere la propria vita specchiarsi nella vita di questi magnifici fratelli perdenti. Di questi strani elfi sguinzagliati nei quattro angoli del Mondo, dall’equatore fino a dove tutto l’anno sbatti i denti. Quelli che molte società hanno sempre usato come “i cattivi esempi”, illudendosi che questo basti perché tutti possano vivere felici e contenti.
Dalla quadrifonia esce un pezzo del Miles Davis “ultimo atto”, s’intitola “Amandla”, vuol dire Libertà. Ognuno viva la sua.

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