Post: alcune belle persone che hanno letto il mio libro ultimamente l'hanno menata molto con questo racconto. Nel senso che è piaciuto. Così lo postiamo. Agli amici di Valle Santa lo dedico.
E sia ben chiaro che domani Zula se ne va da questa casa e non voglio sentire storie!
Urlò
inviperita Iole verso la famiglia radunata intorno alla tavola sotto
il patio a frescheggiare.
Tutti
guardarono Zula un po’ imbarazzati ma lei non ci fece troppo caso.
Con quegli occhi limpidi e pieni di sincerità
finì
di mangiare quei due pezzi di carne e andò in giardino da sola e a
testa bassa.
Dunque
domani si riparte. Pensò seduta sotto un mosaico di stelle a
respirar leggera la brezza del crepuscolo.
Non
era certo una novità per lei. Già poco dopo nata la madre. Una
Ghiriama che partoriva una volta all’anno.
L’aveva
abbandonata senza giustificazioni per accasarsi a far la vita comoda
nella villa di un muzungu.
E
non ne aveva fatto un dramma. Aveva semplicemente cercato di
sopravvivere e ci era riuscita fino ad oggi.
Non
ne fece un dramma nossignori.
Dormì
in giardino quella notte. Sognò e si rigirò distesa nell’erba
umida ma al mattino con il gallo era già pronta per andarsene. Senza
bagaglio. Tanto a parte il tetto sotto il quale dormiva e quella
semplice coperta non è che possedesse un granché.
Partì
da Kilifi e si diresse lenta con fare vagabondo verso il north
coast. Senza una destinazione precisa. Faceva un caldo quel giorno
che stendeva e dopo pochi chilometri trovò un ruscello e bevve acqua
fresca che la rimise in sesto.
Poi
sotto quel grosso albero dormì un paio d’ore in un silenzio che
aveva dimenticato dato che nella casa da dove l’aveva sbattuta
fuori c’era una confusione muzunga praticamente per 24 ore
al giorno.
Per
un attimo ripensò a Iole che era sempre stava scontrosa e
insofferenze ma la capiva dato che aveva due bambini da accudire e
non aveva certo tempo da perdere con una come lei.
Poi
quando inquadrò i visi di Massimino e Duccio e Francesca cambiò
espressione per un attimo quasi a sorridere.
A
loro voleva un gran bene.
Massimino
aveva tre anni. Una peste. Cresciuto n Africa poi. Aveva i capelli
biondi biondi e il naso aquilino e dava delle botte che la metà
bastavano. Con uno strano modo di camminare. Forse l’età. Ma
quando correva verso Zula lei istintivamente si alzava che poi lui le
crollava praticamente addosso.
Si
divertirà così. Pensava nel guardarlo gigionare poi disteso sul
pavimento.
Ma
nel sonno ogni tanto si metteva a strillare contro chi sa quali
oscurità che a Zula veniva la pelle d’oca e spariva discreta in
un’altra stanza. Senza fare storie.
Duccio
era il suo preferito. Due anni portati alla grande che già
parlicchiava e camminava e batteva delle testate in giro che lei non
ce la faceva mai a fermarlo in tempo.
Svelto
com’era.
Aveva
un occhio un po’ chiuso e Zula adorava vederlo con
quell’espressione di uno che ha sbagliato tram ma
non
vuole darlo ad intendere. Come adorava quando si metteva lì a
straparlare parole incomprensibili con la vaga illusione che lei
comprendesse qualcosa. Ma in realtà non capiva un’acca anche se
non glielo fece mai intuire.
Francesca
era una storia a parte. 16enne in calore dedicava ore a sistemare
quella foresta di riccioli che si ritrovava mentre Zula le sedeva
discreta accanto sorbendosi i suoi inevitabili commenti sulle varie
acconciature.
Chissà
perché poi se la tirava tanto per le lunghe. Aveva un fidanzatino
africano molto carino che se sua madre lo immaginava soltanto
succedeva il finimondo. Un sacco di amici che la cercavano sempre.
Non riusciva proprio a capire perché usasse sempre la sua compagnia
come scusa e raccontasse ai suoi che andavano a camminare al mare che
a
Zula piace tanto quando non era vero per niente solo per incontrare
poi in segreto il suo giovane amato. Non era meglio trovare un’altra
scusante? Che poi lei finiva sempre seduta in un angolo con una
candela in mano ad ascoltare sospiri e ben altro mentre i giovani
credevano di farla impunita. Una volta provò a farglielo capire
allungando il passo verso casa e ignorandola quando la chiamava con
dei dai aspettami. Ma poi il giorno dopo fece lo stesso.
Thomas
si guardò attorno in una Malindi di lunedì notte che non
c’era un’anima in giro neanche ad offrirgli moneta. Inquadrò la
storia indugiando un attimo e si domandò se per caso non era finito
nel posto sbagliato.
Il
Gazzettino Del Crepuscolo la dava come una buona destinazione. Gente
ricca e con grandi case. Cibo a volontà e fanciulle in ogni dove.
Quando arrivarono alle sue orecchie queste informazioni non ci pensò
due volte e partì deciso e senza indugi. Era stanco di vagabondare
per i villaggi senza far niente a sperare nella compassione di
qualcuno che
dividesse
con lui un po’ di cibo. Poi trovò un angolo riparato che gli dava
sicurezza e si addormentò con un occhio aperto. Consumò così la
sua prima notte in town.
Al
mattino iniziò a realizzare meglio dove si trovava. Il trambusto
della gente e delle auto e dei pulmini lo colse improvviso che lui
schizzò in piedi d’istinto. Si guardò intorno un attimo e si
avviò in giro a cercar fortune.
Ebbe
la sensazione che non sarebbe stata facile. Ma non lo disse mai a
nessuno.
E
di belle fanciulle in giro. Per adesso. Neanche l’ombra.
Quello
stesso giorno anche Zula arrivò a Malindi.
Aveva
viaggiato quasi sempre di notte per scansare il caldo che nelle ore
diurne spezzava le gambe. Ma non si infilò subito nella town a
curiosare. Girò per la periferia e si fermò in un posto dove poté
bere un po’ d’acqua. Mentre si dissetava vide per terra un
pezzetto di carne impolverato. Si guardò attorno furtiva e in lampo
lo buttò giù controllando che nessuno l’avesse vista. Non era
abituata a fare queste cose ma aveva una fame che sentiva i crampi
allo stomaco.
E
non ci pensò due volte.
Poi
con calma guardinga si avviò verso il centro scansando i posti più
affollati. Non le piaceva la confusione e neanche i modi bruschi che
certa gente ha.
Nel
momento in cui Eveline le si avvicinò la guardò all’inizio
dubbiosa poi dato che non fece altro che chiederle da dove veniva e
dirle che era proprio carina mentre le si sedeva accanto si
tranquillizzò e torno a guardarsi intorno.
Carina
io? Si domandava Zula un po’ stupita da questo originale
complimento. Scrollò la testa.
Che
poi invece era carina. Aveva un modo di guardare che disarmava. Un
corpicino asciutto e proporzionato e sculettava bene suo malgrado.
Aveva quel fare timido e seducente che conquistava ma non ne aveva
mai approfittato. Visto che si ritrovava regolarmente a vivere per
strada e di espedienti.
Ma
in fondo le piaceva vivere così. Cosa c’era di meglio che
distendersi in un prato di notte a guardare gli astri e a sognare i
sogni? Con cosa avrebbe scambiato quel senso di libertà che provava
nello spostarsi per la vita come un animale sereno e randagio?
Eveline
la invitò a casa sua. Lì per lì Zula fu restia anche perché non è
bene fidarsi degli sconosciuti. Ma poi arrivò anche la madre che fu
tanto carina e insistette così tanto che alla fine si lasciò
convincere e pensò che in fondo un po’ di comodità non le
avrebbero fatto male.
Non
sbagliava. La famiglia di Eveline possedeva una casa gigantesca. Con
un parco tenuto bene e il prato all’inglese liscio come il culo il
di un bambino. Pensò sorridendo nascondendo poi il viso quasi a
vergognarsi.
Le
piaceva gironzolare per quel parco dove il senso di pace trovava
conferma nel cinguettio dei mille volatili lì intorno. Era proprio
un paradiso.
E
poi la sera dormiva in camera con Eveline che aveva insistito tanto
anche se lei forse avrebbe preferito il patio
perché
era più fresco. Selvaggia com’era.
Ma
le piaceva Eveline. Aveva qualcosa che le ricordava Francesca ma più.
Più. Più inglese ecco.
Di
certo non le raccontava tutte le sue storie d’amore e di pianti e
di sotterfugi. Anche se aveva la stessa età. Tutt’al più le
raccontava che si annoiava un po’. Che le mancava Londra dove aveva
gli amici veri. Che in fondo Malindi era una palla e andare a
pescare con papà lo era ancora di più. E Zula inteneriva nel
vederla così che la sfiorava con dolcezza e la guardava con gli
occhi buoni. Poi Eveline prima di spegnere la luce le dava sempre un
bacio sulla fronte che le
piaceva
da morire questa cosa qua.
Al
mattino gironzolava per il parco distratta dopo una bella colazione
che l’aveva messa di buon umore.
Eveline
nuotava in piscina e ogni tanto la chiamava urlandole vieni anche tu
in acqua! Figuriamoci.
Zula
odiava l’acqua. Due dei suoi fratelli ci avevano lasciato la pelle
la dentro.
Poi
dal cancello di casa sentì dei rumori invisibili e d’istinto andò
a vedere cosa c’era.
Trovandosi
Thomas davanti all’inizio fece la voce grossa alle richieste
insolenti di quel maleducato.
Ma
poi lui continuava a guardarla con un mezzo sorriso che alla fine si
misero a parlare e gli strappò un appuntamento segreto
nell’oscurità.
Thomas
si allontanò con la cresta ritta pensando ecco le fanciulle! E che
fanciulle!
Si
innamorò di Zula al primo sguardo.
Quando
poi potè appurare che non era neanche una facile si innamorò ancora
di più.
Sudò
sette camicie per portarsela in un fienile a consumar sospiri e
peccati.
E
ci rimase subito incinta. Come tutte quelle che si lasciano
trasportare dalla passione e non usano precauzioni.
E
poi comunque che precauzioni avrebbe dovuto usare?
Anche
lei si era innamorata di Thomas dal primo momento. Gli piaceva quel
fare da macho che aveva.
Che
poi in fondo era un farfallone. Bastava che mostrasse i denti e lui
tornava nei ranghi con la coda tra le gambe.
Quando
nacquero eran tre truspolini. Due maschi e una femmina. Ai nomi ci
avrebbero poi pensato casomai i parenti. Come da tradizione.
Gli
cambiò la vita a Thomas che smise di andare in giro a vagabondare e
a fare il galletto con qualche sgualdrina di Magengo.
Zula
che era mamma e intelligente capitava spesso dalle parti di Eveline
che appena la vedeva impazziva di gioia e la rimpinzava di buon
mangiare.
Non
le fece mai capire che aveva dei problemi e che non se la passava
bene con tre figli da sfamare e un marito desaparecido. Continuava a
scherzare con lei di ogni piccola sciocchezza facendo finta di nulla.
Quel
giorno rientrava verso casa ed era sera che arrivava improvvisa e le
rare luci sparse in giro creavano miseri corridoi di chiarore dove
orientarsi.
Anche
se Zula non ne aveva certo bisogno. Era abituata a passare in mezzo
al buio indenne. Aveva come un sesto senso per questo.
Zula!
Senti urlare dall’altra parte della strada una voce familiare che
la chiamava.
Inquadrò
meglio e vide Francesca che sorrideva e sbracciava stupita e felice
di vederla immersa nella sua vacanza malindina a far tardi la notte
con le amiche.
Zula
ebbe come un sussulto e di slancio attraversò la strada senza
guardarsi intorno.
Quando
impattò sul paraurti di quel jeppone che arrivava a forte velocità
morì all’istante anche se le sue viscere rimasero sulla strada
come un macabro avvertimento un bel po’ a disgustare inutilmente.
Che
cazzo abbiamo preso? Domandò uno spocchioso milanese che aveva
appena finito di imprecare contro segretarie e commercialisti al
cellulare senza tener di conto la strada.
Niente
abbiamo tirato sotto un cane.
Rispose
un altro milanese spocchioso uguale ma con uno zero meno in banca.
Ah.
Meno male. Svisò di fischio il primo.
Per
un attimo ho temuto che avevamo combinato un guaio.
A
Zula. Il mio cane africano. Con amore e riconoscenza.