lunedì 30 aprile 2012

Mwandari



Mwandari è un racconto pubblicato su un mensile e sul mio libro Mad(e) In Kenya.
Parla, tra l'altro, di polizia. E gli fa il contropelo. A me non piace la polizia. Bianca o nera, cambia poco.


Fiori senza odore
Donne senza cuore
Uomini senza onore

(antico proverbio swahili)


Il dhow di mzee Jacob se l’era vista brutta ad infilarsi veloce e in traiettoria con tanto di salto e schiume domate su quell’oceano partigiano ma poi nella corrente amica dell’ultimo reef si era sistemato comodo tra le onde della riva verso la spiaggia di Watamu piazzata ad est di nessun ovest. Provocava con piacere Jacob marinai e pescatori e mezze lenze del posto. Che vivevan tutti di pesca forse sì ma non come una volta. Quando i vecchi si imbarcavano su sensi di sfida alla vita e alla materia e agli elementi. Quando con barche posticce e vele rattoppate si tornava carichi di pescato e sorrisi.
Oggi era più dura. La pesca a strascico e gli eventi ambientali avevano ridotto drasticamente la quantità di pesce nell’oceano lì intorno e si doveva osare sempre più al largo per tirar su qualcosa di importante rischiando la vita spesso per due soldi.
Che poi la storia degli scontri politici aveva fatto lievitare i prezzi della farina e di tutto.
Che Jacob non l’aveva neanche capita bene quella vicenda. Uccidersi tra kenyoti gli sembrò una corbelleria bell’è buona ma non ne parlò mai con nessuno di questo.
Non sono fatti miei.
Pensava seduto sulla spiaggia umida osservando l’oceano che si preparava alla notte sbadigliando rumoroso e buttando un’altra occhiata esperta agli ormeggi del suo dhow.
Jacob come sta Mwandari? Domandò mzee Samson. Un vecchio pescatore sdentato dalla pelle cotta dal sale. Sigaretta senza filtro incollata sulle labbra e vestito come uno che non aveva da perderci tempo sopra. Sta lavorando ad una cosa per il governo.
È un segreto mi ha detto.
Rispose Jacob dal cuore pulito e gli occhi stanchi.
Gran bravo ragazzo.
Complimentò Samson spegnendo la cicca.
Già. Puntualizzò Jacob fissando il nord dove suo figlio serviva la patria come un eroe.

Mwandari quella roba non era buona.
Anzi faceva proprio schifo. Il boss ha dato ordine di pagarti la metà. E vuole parlare con te. Subito. Affermò un tipo losco dal fare gangsta seduto in quel caffè centrale della Nairobi buona a sorseggiare caffè italiano e a spolverare imprecando lo zucchero a velo del croissant che spargeva sul vestito firmato ad ogni movimento.
Mwandari si alzò gli occhiali scuri e guardandolo fisso replicò. Di al tuo capo che lo vedo domani. E digli che i soldi li voglio tutti. E si tirò su finendo il caffè in piedi e nel voltarsi fece in modo che il tipo e i suoi guardaspalle inquadrassero bene la Wesson che portava nella fodera. Poi svanì nell’auto di servizio e chiamò la centrale.
Ci sono dei problemi. Sibilò ad una voce distorta che gracchiava dall’altra parte.
La roba è stata tagliata troppo. Di a quei cretini dei tuoi che stiano più attenti. Hai capito?
Agli antipodi si udì soltanto un ok metallico che chiuse la conversazione.

Mwandari era un agente della narcotici.
Era partito da Watamu. Un villaggio di pescatori sulla costa per recarsi nella city a cercar fortuna. Dal fisico imponente e minaccioso non ebbe difficoltà a trovare dei lavoretti sporchi aspettando la grande occasione. Pazzeggiò e scazzottò e complottò.
Poi venne fuori che un vecchio parente poteva dargli una spintarella per entrare in polizia e si sarebbe esposto per lui che in quel contesto vide l’occasione. E accettò.
Fece carriera alla svelta il giovanotto.
Da semplice agente in giro per i quartieri di Nairobi a farsi pagare tangenti da piccoli negozianti e prostitute a buon mercato capì in fretta che se voleva vedere i soldi veri era obbligato ad alzare il tiro. Quando poi un giorno adocchiò in centrale due chili di cocaina che era stata sequestrata all’aeroporto e ne comprese il valore sulla strada fece carte false per entrare alla narcotici. E infamando un collega che stava per prendere quel posto che lui vedeva solo suo entrò dalla porta principale in quella che doveva essere una caserma ma che percepiva come una montagna doro. E non si sbagliava.
Ognuno prende il 10% del profitto. In qualsiasi affare. Gli fu spiegato.
E Mwandari capì le coordinate alla svelta.
Uccise tre uomini solo perché il suo superiore glielo aveva ordinato tra le pause di una falsa conversazione amichevole. Aveva gambizzato quel luo prepotente che si era provato a saltare le gerarchie dei quadri senza soffiarsi neanche il naso. A più di una prostituta aveva procurato lividi e umiliazioni che cambiano una vita. Senza pensarci Su due volte. Occultato dietro quel tesserino che lo qualificava un agente. Era bella la vita a quella maniera. Pensò allungando le gambe sul tavolo di quel bar importante e ben frequentato.
Quando il buttafuori si staccò dal muro dove era appoggiato per andare a redarguirlo il proprietario del locale lo fermò con uno sguardo come a dire. Lascia perdere questa volta.
Mwandari sorrise pensando tra sè che era seduto proprio nel posto giusto.

Com’è andata Jacob? Domandò un arabo che commerciava pesce nel vederlo rientrare con il dhow e ormeggiare sulla spiaggia.
È dura mzee. Rispose annaspando nell’ultimo nodo.
Che hai lì di bello? Chiese annusando odore di pescato pungente e sanguinante.
Bei Red Snapper e due tonni importanti e calamari e poi guardi qua mzee
Ed esibì un cesto di aragoste che aveva tirato sù tra gli scogli di bassa marea.
Un bel size che facevano proprio al suo caso.
Che il cancelliere del distretto le chiedeva alla lunga e anche minaccioso.
Trattare il prezzo con Jacob non era mai un problema. Chiedeva il suo avere quasi con un senso di colpa abbassando la testa e impostandola su toni ancora più dimessi.
Ma in fondo a casa non mancava niente.
Suo figlio provvedeva sempre a tutto e Amina. La sorella minore. Gestiva faccendiera il flusso di denaro facendoci sopra delle creste imbarazzanti. La madre se ne accorse quando le vide tra le mani quel cellulare che costava un mucchio di scellini. Si capiva.

I soldi li voglio tutti. Chiarì da subito Mwandari davanti a quel tavolo fumoso che comprendeva la crema della malavita di Nairobi. Il più vecchio espirando la sigaretta che ingialliva le sua dita gli chiese ma sei proprio sicuro che questo sia l’atteggiamento migliore? Sapeva Mwandari che non lo era.
Ma non aveva scelta. Si era esposto con tutti e di più credendo che la storia era fatta e si era dato a spese out badget. Di brutto.
I soldi li date tutti e dalla prossima volta si torna sullo standard. Provò a giganteggiare di fronte a situazioni che comprendevano lui e ben altro e solo come una comparsa che sarebbe uscita di scena con uno squillo di telefono.
Proprio sicuro? Ribadì il vecchio esibendo un dente d’oro su un sorriso furfante che prima era sfuggito a Mwandari.
Non c’è altro da aggiungere.
Concluse in una situazione che si riempiva di cose dette e non dette cercando invano la posizione di vantaggio.
Ordinò teatrale un gin tonic e fece in tempo girandosi per sentire un ok del vecchio che si alzava goffo subito supportato da due energumeni che lo misero in piedi come una marionetta. E battendogli il palmo della mano sulla spalla gli sussurrò un ci vediamo che Mwandari avvertì un attimo dopo come se un coccodrillo lo tallonasse sicario per la resa dei conti. Ma quando si girò di scatto e nervoso appoggiando la mano nella Wesson non vide niente.

Le onde ricamavano macramé importanti in uno spazio che sbolliva certi umori.
A dir il vero anche ben altro. Non si pescava niente. Lo dicevano quelli del villaggio su a nord e lo confermò Jacob nel rientrare con la giunca vuota e il fiatone.
Poi improvvisamente vide qualcosa che lo catturò e lo calamitò irresistibile e senza formular parola saltò sul dhow assicurandosi verso il taglio che portava al largo.
Aveva intravisto luccicare una pinna che lo spinse verso le onde ambiziose delle coste a prescindere dai calcoli marittimi e dalle nostre vite spettatrici e in un silenzio stabilito dagli dei o dai re dei venti partì per rischiare grosso mzee Jacob.
Quello strano pesce filava via impressionante mantenendo velocità e statistiche che fecero vibrare ma solo per un attimo questo vecchio pescatore. Jacob sentiva che tirarla lunga poteva essere pericoloso.
Guardò in lontananza la spiaggia distesa nella profondità e continuò a spingere la sua misera vela nella direzione stabilita.
Mentre le forze eoliche ricordavano le gerarchie con colpi di coda e dispetti pericolosi.
Poi il giorno dopo che già la sete attanagliava salata trachee e respiri. Mentre i suoi pensieri stavano cedendo sotto il martellamento del sole. Sentì muovere la lenza.
Poi la vide andare in tensione e quando iniziò a segare i calli delle dita capì che aveva abboccato. Non fu difficile tirarlo su.
Provò a scappare come fanno tutti ma con poco vigore.
Si aspettava di peggio Jacob. E quando o vide rimase stupito dalle forme e dai colori di quel pesce che non aveva mai visto prima. Aveva una forma ovalizzata sul metro che tendeva ad allungarsi. Una doppia pinna sul dorso e due branchie elaborate quasi all’incontrario. Quattro grossi denti in mezzo ad una miriade di piccoli e gli occhi a mandorla. Per non parlare del colore poi. Era un intreccio di giallo forte e verde pastello e blu scuro. A volte strani pallini bianchi definivano la coda e i contorni degli occhi. Non aveva mai visto niente del genere in tutta la sua vita di pescatore. Pensò nell’osservare quasi intimorito quel pesce che usciva dai canoni persino inerme e morto.
Quando iniziò il rientro si mise a canticchiare una vecchia canzone che aveva imparato da sua nonna quando erano i tempi del mondo in bianco e nero e della vita piena di colori. Pensando a suo figlio sempre impegnato per il governo che non si faceva vedere da mesi.

Questo non è il posto giusto per un affare.
Pensò a voce alta il collega di Mwandari nel costatare impalcature metalliche e scale che portavano in ogni dove e da nessuna parte.
C’era poca luce e i bagliori emergevano da porte e infissi in disuso. L’odore avvolgeva acre di chimica e illegalità. Poi dai tagli di sole sparsi nelle frazioni di quella scenografia eccessiva intravidero scivolare un paio d’ombre che strisciavano galoppine e non pattuite.
Istintivamente Mwandari estrasse la sua Wesson stringendola deciso quasi a cercare conferme e iniziò a serpeggiare professionista tra le lamiere del fabbricato mentre il rumore assordante della centralina lo impostava verso la fine.
Poi sussurrando un tutto bene? Occultò nella risacca dei sentimenti cinque colpi stabiliti che lo spalmarono nel muro dietro di lui.
Ebbe due secondi per dare un senso alla sua morte ma si ritrovò sfrontata davanti l’immagine del distretto in un momento ordinario.
Fu l’ultima cosa che vide da vivo.
Il collega che rispondeva al telefono in una situazione che non esigeva spargimenti di sangue ne sentenze sommarie. Poi spirò con gli occhi aperti.

Eran tutti radunati intorno a quel pesce che non se ne vedeva in giro da sempre senza capirci niente.
Eran tutti lì a guardarlo con gli occhi sbarrati per decifrarlo. Invano.
Poi un vecchio Luo si aggiunse alla discussione asimmetrica e pronunciò un intro che sembrava facesse acqua da tutte le parti.
Affermò che conosceva quel pesce. Era velenoso e portava brutti presagi.
Decretò concludendo serioso.
Poi un altro vecchio pescatore rachitico e anonimo confermò la diagnosi e la cosa si sparpagliò nella quotidianità del villaggio.

Al mattino Jacob entrò in spiaggia discreto ed essenziale.
Le onde si spostavano progressive e contrapposte ad un’alba che sapeva di risveglio e pesca e bocche aperte.
Aveva appena finito di sotterrare suo figlio con le mani che ancora tremavano e le lacrime che rintanate dietro gli occhi aspettavano il momento opportuno.
E osservando quell’oceano che danzava davanti ai suoi occhi vide saltare un pesce fluido e importante che Samson esclamò guarda che bel delfino!
Jacob scrutò meglio il salto successivo e sentenziò allontanandosi lentamente.
No. E’ soltanto un tonno.
Si imbarcò nel suo vecchio dhow e si aprì un varco nelle insidie del primo reef e si diluì sino a sparire nell’immensità dell’oceano.
Da quel giorno nessuno lo vide più tornare.
Piuttosto che continuare aveva preferito dar la propria vita a l’unico che non lo aveva tradito mai. Il mare. 

domenica 29 aprile 2012

Akhram





Akhram l'ho scritto anni fa.
E' la storia di un bambino di Malindi che conosco benissimo dato che ho avuto una storia con la sua splendida madre. Poi lei e' morta all'improvviso e noi abbiamo pianto lacrime vere. Questo racconto e' stato postato in un blog del Kenya, e cosi' lo posto anche qua.
E solo a Lei e' dedicato.



Un gatto girava per strada distratto.
Incontrò una formica che sudava
a testa bassa
le chiese perché?
Perché la vita è dura
Rispose tristemente.
Poi incontrò una cicala seduta
a frescheggiare serena
le chiese perché?
Perché ne vale la pena
Rispose sorridendo

(Akhram)


Akhram ha 12 anni e scrive poesie da sempre. Iniziò presto con questa passione.
Appena a scuola imparò ad usar penne e fogli partì d’istinto.
Il suono della melodia e della metrica lo portava a vedere cose e a formulare pensieri che solo lui vedeva e che lo estraniavano da tutto il resto. Perciò all’inizio la maestra si preoccupò e ne parlò persino con Fatuma. Sua madre. 
Non voglio farti impensierire ma Akhram è veramente strano. Non gioca con gli altri bambini e ride poco e fa domande da grande. Certe volte mi mette persino in imbarazzo con la classe perché non so cosa rispondere. Le raccontò Chiuna, che sarà stata anche una bella ragazza e molto competente a sculettare per la town ma come maestra lasciava un po’ a desiderare.
Fatuma sorrise e guardandola le rispose maliziosa. Allora forse il problema è tuo. A casa è un bambino normale. Gli piace soltanto scrivere poesie. Cosa ci sarà di tanto strano? Fatuma sapeva benissimo che Akhram non aveva nessun problema. Era soltanto un bambino intelligente e sensibile. Persino il muezzin della moschea glielo aveva fatto notare. Diventerà un grande uomo un giorno le disse. Ma a Fatuma non piaceva che frequentasse troppo la moschea e anche Akhram era in sintonia. Trovava noiosa la lettura del Corano a quella maniera mentre lui quando lo leggeva da solo ci traduceva un sacco di cose diverse da quelle che sentiva dire poi dai religiosi.
E non ci scovava mai quella rabbia e quel rancore che invece un pò tutti predicavano.

Le mitrie pungenti seppellirono l’aria
Grida dolorose setacciarono
percorsi di morte
Rosso di sangue scorreva
nelle crepe della strada
Un uomo sedotto e ferito era brillato
Violenza ancora
Senza l’ombra di un amore
E Allah si vergognò quando
urlò il suo nome

(Akhram)

Tra guglie d’originalità e una dialettica minimalista spiazzante e tempo perso a guardar la gente perder tempo Akhram passava spesso a trovare mzee Malik. Un signore arabo olistico che adorava questo ragazzo osservatore attento della vita ed educato da far impressione.
E che domande poi. Certe volte lo metteva in imbarazzo perché non sapeva cosa rispondere ai suoi quesiti arguti ed originali. Curiosava sempre a naso in sù tra i libri della biblioteca che era una cosa importante e non si stancava mai di chiedere nuove letture. Aveva praticamente divorato tutti i classici musulmani iniziando ad interessarsi a certa letteratura occidentale.
Il Vecchio e il Mare di Hemingway lo aveva entusiasmato. 
Anche quel bel libro sulle guerre del nord. Maggiore Lawrens cosa l’attrae del deserto?
Che è pulito.
Mi piace perché è pulito.
Se la ricordava ancora questa citazione spettacolare.
Mzee mandò la governante a comprare due gelati senza farsi sentire da Akhram che adorava il cono con la cioccolata intorno e bianco dentro per non parlare poi dei dolciumi tutti. In effetti aveva qualche chilo in più e i capelli quasi castano che ricordavano una fetta di dna muzungu. Dato che il padre era un italiano che aveva intrallazzato per un pò a Malindi e poi era fuggito lasciando sua madre in un mare di guai.
Due occhi azzurro/verde che penetravano fin dentro i pensieri ma il suo sorriso aperto e leale smorzava quell’energia imbarazzante.
Era più alto della sua età e piaceva alle ragazzine. Ma quando Fatuma lo scherniva per questo lui tornava bambino e niziava a sbuffare chiudendosi in se stesso. Akhram non si trovava ancora a suo agio in mezzo ad un sacco di ragazzette che mettevan su forme smaliziate.
Gustarono quel gelato nel fresco della terrazza buona cullati dalla brezza del tardo pomeriggio e l’odore di cucina che si spandeva dalle mille bettole giù in strada.
Poi Malik introdusse un argomento che gli stava a cuore e desiderava sapere cosa ne pensava lui.
La prese un attimo larga e parlava rivolto verso la libreria.
Tirò via un volume alto dalla copertina ocra e girandosi gli chiese cosa ne pensi della compassione?
Akhram lo guardò sibilino e ci pensò due minuti e poi recitò quasi sotto voce.

Un uomo stava morendo di fame
Arrivò un altro uomo che aveva poco cibo
Quando lo vide iniziò a dividere
per due quel poco che aveva
Perché lo fai? Chiese il moribondo
Perché senza Te non esiste Noi. Rispose Lui.

(Akhram)

Quando oramai si avvicinava la fine dell’anno con la sua orgia di risate e festeggiamenti Fatuma iniziò a sentirsi male. Distesa su un letto a sudare capì che stava succedendo qualcosa di poco bello.
Da quella splendida mamma che era non lasciò che Akhram intuisse come stavano realmente le cose.
Il dottore le aveva diagnosticato qualcosa ai polmoni e prescritto qualche medicina ma i venti dell’oltretomba iniziarono a fischiare intorno alla sua casa.
Akhram invece aveva capito tutto. Come sempre.
Passava discreto le giornate seduto al suo capezzale a leggere o ad asciugarle il sudore o a portarle dell’acqua. Ogni tanto lei gli sorrideva e gli sistemava con fatica quei bei capelli che tutti invidiavano.
Lui abbozzava un sorriso e le sussurrava non ti preoccupare mamma che andrà tutto bene.
Quella notte Fatuma pianse finchè non si sentì svuotata. 
Ossessionata dall’idea che se moriva Akhram si sarebbe trovato solo.
In quei giorni si ritirò ancora più in se stesso.
Sigillò l’ultimo bottone della sua corazza invisibile trasformandola in una difesa impenetrabile. Ma ebbe tempo e modo per notare nei gesti dell’ordinarietà un refuso di immortalità. 
Quasi sacro.
E comprese che l’eccezionalità era soltanto il compendio e il compenso di questi piccoli gesti.  
E contemplando l’essenza della vita quasi a sfiorarla si incastonò uno spazio nelle sue pieghe.
Minuscolo e modesto. 
E fu in quel perimetro che trovarono riparo e conforto i suoi sentimenti e le sue cicatrici.

La condivisione è il prezzo
che si paga per capire qualcosa
La solitudine è il prezzo
che si paga per capire tutto

(Akhram)

La Nera Signora se la portò via l’ultimo giorno dell’anno dopo un agonia che rimase stampata negli occhi di Akhram per il resto dei suoi giorni. Il dottore aveva sbagliato a prescrivere i medicinali e Fatuma peggiorò rapida e si spense quando il cuore e i polmoni cedettero sotto l’affondo del destino e della stupidità umana. Ed Akhram non versò una lacrima. Assistette a tutti i preparativi e alla funzione senza batter ciglio stretto in mezzo ai parenti segnati dalla perdita.
Perché Fatuma era un po’ il punto di riferimento del clan. Donna svelta e snella con un passato da gran bella femmina. Intelligente e poco incline a recitare la parte della donna musulmana dimessa. Nessuno si ricordava di averla vista chiusa dentro un burqa e più di un uomo aveva dovuto farci i conti ed abdicare davanti alla sua lingua tagliente e ai suoi modi decisi che intimidivano. Signora di vita che aveva pure viaggiato per il mondo sapeva dare buoni consigli filtrando la realtà con occhio disincantato e libero dalle censure della religione.
Fu una gran perdita per tutti.

Kassim partecipò alla funzione un po’ in disparte ostaggio di un dolore raro. Si erano amati tanto lui e Fatuma. Insieme a lei aveva imparato la forza dell’unione e l’impegno e la dolcezza che questo comportava. Fu sopra l’ultimo fiore che lasciò cadere su quella terra amara che si giurò mai più. Akhram quando lo vide si avvicinò e si aprì in un mezzo sorriso dai contorni tristi.
Kassim gli allungò un foglio e lui aprendolo lesse ad alta voce.

Gemma di carne
Rosa di sapere
Seta di speranza
Crisalide d’amore
Graffio doloroso

(Kassim)

Finì di leggere e lo abbracciò con una forza disperata. Poi finalmente si sciolse e pianse.

Diversi anni dopo usciva dal portone del liceo avvolto dal piacere della calura di quella splendida giornata primaverile. Era cresciuto e si era allungato molto ed era pure snellito ed era diventato ancora più bello.
Se mai ce ne fosse stato bisogno.
Viaggiava su uno scooter ordinario ed era circondato da un’energia impercettibile.
Come se un angelo vegliasse la sua persona e gli trasmettesse una serenità che si avvertiva nettamente.
Oramai viveva in Italia da diversi anni presso la sorella della madre che dopo la sua perdita si era fatta in quattro insieme al marito per portalo a vivere con loro.
All’inizio Akhram era stato molto titubante ma poi aveva accettato sotto il peso della logica e degli eventi.
Un lungo viaggio inizia con un passo - Scrisse prima di partire nel suo quaderno di poesie. - Ma dopo quel passo sarà bene controllare che la suola delle scarpe sia buona. Casomai il viaggio fosse troppo lungo.
Fu l’unica poesia che scrisse con un sorriso e l’ultima di tutta la sua vita.

Nel parcheggio della scuola si radunavano piccole tribù a detonare e a scherzare e a smontare in ogni dettaglio la lingua italiana in uno svolazzo di gesti e riti e codici che a loro soltanto appartenevano e che il mondo là fuori ancora non poteva decifrare.
Akhram sistemò con cura i libri e gli appunti nel bauletto e si sedette sul suo scooter mentre scorgeva avvicinarsi uno sepolto sotto uno zaino sproporzionato pieno di libri e strumenti quasi fosse uno sherpa.
Giovanni cosa combini oggi di bello?
Domandò all’amico secchione temerario nello studio quanto imbranato nella vita.
Eh che faccio. Provò a sorvolare. Studio. La vita è dura.
Rispose tristemente. E tu?
Io invece vado a farmi una bella passeggiata fino a quella vetta.
Rimandò sereno indicando il promontorio che circondava la valle tutto intorno.
Perché? Chiese l'amico.
Perché ne vale la pena.
Rispose sorridendo.


giovedì 26 aprile 2012

Dei Down







Sono down in questi giorni.
Grazie al cazzo penserete, è il titolo del post.
Ma stavolta è successo qualcosa, e qualcosa nelle mie dinamiche autolesioniste-compulsive non ha funzionato, l'acceleratore s'è rotto, il motore ha grippato, ed io l'ho fatta franca.
Ma andiamo in disordine sparso.
Non so voi ma io quando ho il down divento insopportabile al plutonio.
Mi schifa la frutta e il gelato (che adorazzo entrambi) e mi metto a fare i si ma però persino se si parla del Barça. M'adombro e m'abbrutto. 
Lo veddo. Faccio patta con i perchè, squalunquismo tutto di situazionismo anche becero a volte. 
Me ne strafalcio di Loro mentre invece tutto di Loro mi tocca e a puntino finanche nella risacca dei sentimenti che x me si trova.
C'ho persino gli attacchi di panico se entro alla Lidl. Penso che tutti mi guardano, il fiato mi s'accorcia, sono convinto che tutti mi stanno giudicando e pago la spesa tremando come una foglia.
Roba seria credetemi.
La mia mente va in rewind e s'impunta a pescare, rendendola attuale, tutta la spazzatura del passato. Riaffiorano i brutti momenti, flash impazziti dell'infanzia, gli sbagli commessi eoni fa s'attualizzano vampiri e monopolizzano la mia attualità.
Combatto una battaglia che so persa in partenza con vampate di brutta energia mentre lei si sublima cesellando il tappetto che avevo griffato di bei concetti. Cerco lo scontro con chi amo ed ho una paura assurda dell'Autorità. 
Insomma, una disfatta.

E perchè fino a pochi giorni fa il sole splendeva sulla mia vitazza donando placida consapevolezza del “lavoro” svolto, ed oggi è tutta merda?
Perchè ero così intimamente e fiero (e grato, claro) del Piacere della Scrittura che gli Dei avevano infilato tra le mie 9 dita e mezzo, e oggi rileggo patetici e inutili i miei post? Why sentirsi “scarzo e 'gnudo” (come mi definisce il mio Amore) era fonte di ispirazione e lucida determinazione ed oggi son solo preoccupazioni e disagio? 
Ma che cazzo è successo?
Ero di fuori prima o sono di fuori adesso?
Ma sopratutto, mentre tutto si trasformava in antitesi, dove cazzo ero finito?
.......xchè tutto questo proprio a me?.........

Ma è claro testina impagliata!!
Perchè te le vuoi! Perchè te le cerchi con il lumicino!
Perchè è troppo più facile stare male per un dolore “gestibile” (di cui conosciamo gli effetti thò, suona meglio?), che affrontare nuove strade magari affascinanti sì, ma con un potenziale intrinseco di Dolore a noi chiaramente sconosciuto, e che ci fa tenere (incoscamente? Bho) ben stretto il “vecchio” con tutto il suo bagaglio di dinamiche.
Perchè “andare avanti” -per mezze seghe come me almeno-, equivale a rimettere in discussione scelte e certezze che sembravano granitiche e che invece rischierebbero di diventare solo castelli (o trilocali, fa uguale) di sabbia.
Perchè siamo stronzi (vi ci metto anche a voi, datemi una mano su...).
Perchè ci sciacquiamo la bocca con 'sta cazzo di Vita e poi appena Lei si presenta ognuno rientra nella sua cella, ci si barrica rassicurato da quell'ora di libertà che la quotidianità gli offre.

E quindi alla fine è tutta colpa mia.
È solo colpa mia.
La Vita non centra una cippa con le nostre Paure.
Casomai sono le nostre Paure che sfondano/entrano nella Vita.
E che riverenze gli facciamo pure.

Ma stavolta le ho fregate.
Semplicemente scrivendo, che è il mio forte.
E tutto come per incanto è sparito.
Magari per te potrebbe funzionare urlando.
Forse per te cantare a squarciagola dalla finestra.
Forse per noi basterebbe vedersi invece di guardarsi.
Non lo so.
Oggi-ho-vinto-io. Lo scrivo a chiare lettere per le mie Paure.
E domani, se si ripresentano, si prendono pure due calci nel culo.

Inizia il diluvio qua fuori.
Ritorno alla mia Vita. 
M'inebrio degli odori.


domenica 22 aprile 2012

Il Destino di Pietro





Pietro sul Pianeta Terra ci si è ritrovato per sbaglio. Questo chiariamolo da subito sennò si fa confusione. Come più volte e invano ha cercato di spiegare, in realtà viene da un astro ribelle della Quinta Cometa che si chiama Orghaton.
Figlio di un progettatore simbiotico-neurale che sperimentò proprio su di lui il Lancio Parallelo. Che consisteva nel proiettarlo in una Scomposizione Molecolare in altri mondi in due secondi e -più che altro- facendocelo arrivare ricomposto per intero.
Non entrerò in particolari matematematici-fisico-quantistici per non annoiare, ma il povero Pietro si ritrovò nel Pianeta Terra per un errore di 0,1 GMB sul Risultato Deterministico, e dopo una vacillazione del Calcolo Caotico che il padre erroneamente aveva algoritmato, tutto finì alle ortiche e si riebbe abbandonato in un mondo che in confronto al più sviluppato Orghaton sembrava una giungla plutartica. Ed ivi restette.
Perché se non si capisce bene questo, dopo e troppo facile dargli del matto e basta.

Lo sosteneva deciso per esempio il farmacista quando Pietro si presentava scarlatto ad ordinare due scatole di “Provinex”, che secondo lui curava il meteorismo, l’affabulazione e la gotta. Oppure una misteriosa pomata al controsperone, adattissima sembra ai morsi di kalamba e alle leccate oniriche di Dorihera, un triclocerite che nella Terra non c’è ma che in Orghaton combina i suoi bei danni. E avessi provato a dirgli che quella medicina in realtà non esisteva o a contraddirlo! Ti mangiava con la ricetta addosso! Anche se a dire il vero Pietro ce l’aveva i suoi problemi terreni. Trascinava una sciatica dignitoso e qualche problemino epatico per non parlare dell’ogiva sfaccendata, che nessun dottore sul pianeta era riuscito ancora a diagnosticare ma sembra che su Orghaton, soprattutto dopo i cinquanta, ne soffrano in molti.
Lo ripeteva imperterrito l’impiegato comunale che gli dava del parassita quando lo vedeva passeggiare distratto per il paese a discutere con ombre, fantasmi e giancarelli.
Che dovrebbero essere un incrocio tra un politico nano corrotto, un trans sudamericano e un cocainomane alato. E malgrado nessuno ancora ne avesse individuato uno, era proprio verso loro che Pietro esibiva una dialettica adelphiana sfociante nel linguaggio più populista. Ed i vaffa a destra e manca, a dire il vero, si sprecavano con fare pulp. Molto pulp. Pure troppo.
Anche il Don faceva il finto buono nei suoi confronti. Pietro era un ateo-situazionista con una leggera tendenza ad onorare il dio Alphax, che lui dice essere uno tosto che viene dal Nuovo Mondo, diverse costellazioni dopo la nostra, e dava di bonario grullo a quel Cristo che apostrofava con una luce lama d’amor “il comunista”. Invece per niente gli piaceva il di lui padre perché, sosteneva, in Orghaton nessun genitore lascerebbe finire suo figlio inchiodato a due pali, se non per gelosia.
Bonariamente anche Beppe il cacciatore gli dava del matto, ma con simpatia. Gli piaceva ascoltare Pietro che gli raccontava di come sapesse usare bene il mitragliatore a proiettili barocchi, in grado sembra di trapassare l’acciaio più spesso e le illusioni canoniche. E ci avrebbe quasi creduto da come la raccontava bene alla storia di quando con due zebre meticcie e tre soldati nani respinse l’attacco sferrato dall’ostile Pianeta IIISR36 con la sola elaborazione coatta della forza del pensiero.
Ai politici invece stava sui maroni alla grande. Quando avevano modo di incrociarlo Pietro sapeva sfoggiar la meglio lingua italiana. E a colpi di quartine, triteggi e parolacce, dispensava figure storiche che lo odiavano con un fare fanciullesco, quasi puro nella loro impotenza. Perché anche se c’hai il culetto foderato dal partito, che cavolo gli rispondi ad uno che davanti a tutti ti dà del melloriante e dell’angivago? Riscuotendo oltretutto sguardi silenti ma approvatori dal cerebro pubblico? E quel Fesso, Indefesso che incassava plausi persino dall’eco che si spandeva tra i vicoli del borgo vecchio? Questo era motivo d’orgoglio per Pietro.
Essere odiato dai politici in Orghaton porta un sacco di privilegi e prestigio.

Ma c’era anche chi gli voleva bene.
Al bar della piazza per esempio. Dove Pietro consumava spremuta di canasta e coriandoli al vapore, che ricordava al liceale di studiare a modo l’emolillina e l’effetto sconquasso, mentre al coglionazzo del videopoker l’apostrofava una bella fava! che se poi gli offrivi qualcosa e accettava, ti meravigliava di quanto era garbato ma con un velo di disagio. Lo capisco.
Quanti di noi avrebbero creduto al fatto che la famiglia di Pietro era tra le più ricche di Orghaton?
Gli voleva bene anche la suora. Quella negra, come si dice nei paesi oggi. E gli piaceva fermarsi a parlare con Pietro del brutto tempo mentre lui gli spiegava che era dovuto al fatto che quando Giove fa cinquina sgancia maleducato dei gran rutti e succede il finimondo perché nessuno lo tiene. E lei rideva di gusto. Che c’aveva un fratello matto giù in Kenya che diceva anche lui di venire da lì. Proprio da Orghaton! E alla fine pensava che bianchi o neri, siam tutti una gran massa di bischeri!
I bambini erano invece un po’ intimoriti dai suoi modi burberi ma sotto sotto amavano guardarlo di nascosto mentre imponeva parole minacciose ai venti del libeccio o alle nuvole di passaggio. E un gran bene gli voleva il dottore che lo curava, almeno così doveva essere. In realtà Pietro non si curava proprio niente ed anzi riusciva a discutere con lui di gustose banalità e anfratti ideologici, stupendolo sempre nella costatazione che Pietro non solo capiva benissimo quale era il suo stato d’animo, ma riusciva a cogliere piccole sfumature personali che alla fine era sempre un po’ in soggezione. Ed aveva fatto tesoro di tanti piccoli aneddoti che non capiva più bene chi stava curando chi.

Qualche difettuccio a dire il vero Pietro ce l’aveva. Per esempio: emanava un odore da far invidia ai Masai. Ma non perché non voleva lavarsi, tutt’altro!, Il problema casomai era che lui voleva usare solo acqua H2Olica, perché in Orghaton ci si lava così, ed era inutile star lì a spiegargli che nel Pianeta Terra non è che se ne trovino a cisterne di quest’acqua qui.
E poi ogni tanto dava di matto, sul serio. Soprattutto quando captava dall’etere indecifrabili messaggi che arrivavano dal suo astro, consapevole che qualcun altro stava per  ritrovarsi come lui, sballottato in chissà quale primitivo pianeta. Ed il dolore di questa consapevolezza lo mandava fuori dai gangheri, fuori dai canoni, fuori da tutto; tamponando uno squarcio emozionale che si ancorava definitivo alle risacche della normalità. Era il peso del suo destino che cercava di farlo abdicare alla pazzia, invano.

Ma erano momenti. Un giorno. Massimo due. Poi tornava a raccontarti di quando lavorava per YSL e gestiva tutto il commerciale della maison. O di quando insegnò all’Agnelli il segreto del motore bipolarico, che sembra si alimenti di benzedrine e funghi velenosi. Meglio ancora quando ti confidava la vera storia del mondo e la sua inimmaginaria scomposizione. O quando tirava fuori il quaderno spiegazzato dove annotava misteriose formule e parole, rivelandoti che aveva inventato un apparecchio geoflettico in grado di dare un senso alla radice quadrata e alle prugne secche.
E devo ammettere, senza vergogna sia chiaro!, che do per buone tutte le storie che mi raccontava Pietro e non pongo dubbi. E come lui mi ha insegnato a suo tempo mentre insieme gustavamo un frappé di lagarella, men che meno certezze.
Perché di quelle, mi spiegò particolarmente ispirato, son pieni i pianeti dove la vita si trascina e mai si qualifica.

Vi state chiedendo perché ci creda, vero?
Credete che sono matto come lui?
O forse pensate che sono meno matto di voi?
Niente di tutto questo.
Ci credo semplicemente perché ancora oggi - essendone un cliente abituale - nelle bettole del terzo anello di Saturno fino al lussuoso bordello di Madame Naihma su in Orione, anche se preferisco quello più modesto ma accogliente di Mama Guadalupex, che se appena intravedi Marte e svolti a sinistra te lo ritrovi di fronte dopo un nanomiglio; si racconta bevendo rhum importato dalla Terza Galassia che il destino di Pietro sia uno di quelli che agli Dei è riuscito meglio.



giovedì 19 aprile 2012

Delle Scelte





“Ti sento alleato del Mondo”.
(Nina, segui/lettrice del mio blog)

Come lo prendereste voi un commento del genere ad un post sul vostro blog se qualcuna/o? vi scrivesse una roba cosi'?
Cosa mi sussurra il mio tesoro/amore a proposito?
E quelle quattro iene Di PartitI appollaiate sopra il (mio) blog?
Voi 3mila e rotti contatti,come lo sentite?
E' “tanta roba” o mi sto fumando troppe canne?
...Pensa(te)ci un attimo...

Io l'ho presa come (sento) doveva essere:
una sensazione bella/improvvisa, profonda, sentita/sentita, una dichiarazione di rispetto a te stesso e un atto di guerra contro di Loro. Che Nina (anche se scrivo lì di Vita) ha già capito/condiviso. Una mano scettico/disperata, attonita/incazzata, che ti allunga/chiede una carezza polis.
(Che oggi scriver politica fa proprio brutto).
Rientro presto/maggio in Toscana, rimetto in gioco tutto,
e poi se va male riparto e vi saluto tutti con un tenore rutto.
Ma ne varra'.
Anche perchè anche qua....(Tutto Il Mondo Va A Puttana)....

Ho scelto. Punto.
Porcatroia ho scelto di essere me stesso.
Fanculo il lavoro che x 'sti cazzo di romani arricchiti non lavoro.
X primo.
Poi due conti di quei due soldi che rimangono e low/low plain.
(X tirarla più a lungo possibile, chiaro).
Un'occhiata alle carte/lucida follia di Osho.
Arcani maggiori come se piovesse. Il Fulmine, La Pienezza, La
Pigrizia e la carta degli Amanti.
(sarò un po' scemo ma...sono 20anni che sta con me 'sto mazzo di carte...e ad oggi posso solo dirgli grazie).
Siamo pronti all'approdo/o/naufragio come esperti naviganti?
Pronti tutti quanti??????

Ho fatto una scelta.
L'ho ponderata bene ancor prima di prenderla in considerazione.
Mi sono detto: Okkio che questa è un'occasione.
Partirà diesel e un po' in sordina ma raggiungerà i suoi obbiettivi
che sbigottiranno tutti quanti. Un pò x disgusto/un po' x emozione. Saranno azioni spiazzanti, illogiche ma supportate persino dalla
quantistica.
Un'atto di (non)violenza supportato da così tanta gente che potrà vantarsi persino della Logistica.

Per adesso è soltanto una scelta.
Poi tutto il resto verrà se mi/ci ricorderemo che siamo umani e sensibili. Che abbiamo diritto ad un sacco di cose, e la prima fa per Di Essere. Ma sopratutto, di RIVENDICARE un altro modo di vivere/si. O forse meglio, un altro modo di ESSERCI.
Ma come piace a Noi.
E fanculo alla grande se non piace a voi.
Vi ricorderemo, e non useremo le vostre cazzo di costose candele e sciocchi corani, che siamo davvero stanchi delle vostre moschee/chiese.
Dei vostri stracazzo di panfili, della vostra famelica/atavica ingordigia Del Nulla, dei vostri fottuti/fumettistici dobloni.
Che non abbiamo più voglia di sentirvi straparlare in quei rettangoli/cazzo di televisioni.
Che vi vogliamo tutti e alla svelta fuori dai coglioni.

Vediamo cosa succederà.
Io ho fatto una scelta.
Altra gente mi ha parlato di voler fare una scelta.
Ricordiamoci sempre che quando piantiamo un seme, x un po' non si vede un bel niente finchè la Natura accetta e da il via libera all'operazione. Ma il seme lì è.
Qnindi per adesso mi/ci basta che teniate ben a mente questo nome:
Piacere & Rivoluzione.

P.S.
Un saluto a E. Bondi. Che s'è iscritto ai lettori fissi del blog...;)

venerdì 13 aprile 2012

Vabbuò, ti scrivo una canzone



Vabbuò. Ho deciso, prima o poi ti scrivo una canzone.
Sia chiaro che la scrivo con un sorriso che poi ti strapperò come forse una piccola emozione.
Ma mio malgrado sarà una canzone figlia della retorica che tanto tengo lontana ma che poi e alla fine, insomma, come le canzoni che inevitabilmente si riempion di parole che straparlano d'amore.
Ma non dimenticherò neanche per un attimo -anche se ti sei scordata fino ad oggi di dirmelo- che oltre ad innamorata madre, sei anche sposina incorniciata.
E perciò non rimerà con il cavallo bianco, il pennacchio e tutta la sciocca sceneggiata, più facile inquadrerà soltanto un cappello strano/poco oro/un po' d'onore e se verrà, un'ubriaca serenata.
L'ho dico e te lo giuro con un sorriso tra le dita, ti scrivo una canzone.
Ma ti consiglio lo stesso di stare in guardia quando leggerai quelle parole. 
Xchè le parole sanno essere anche quando non vogliono pozione e gioco gioco/forza dell'alfabeto amore. 
Incredibile a dirsi che conta più il loro giudizio che c'ho che smuove il cuore.
E dato che desidero che sia normale e vero, non vorrei che te le bevessi proprio tutte mettendo le mie debolezze e le mie paure nella condizione di razziare il tuo stupore.
Ma ti stringerò a me, e balleremo un tango di passione.
Ci annuseremo come due cani randagi che riscoprono il calore.
Sarà una lenta milonga perchè solo lei sembianza il bellamore.
Sarà una canzone semplice. Pochi paroloni e senza falsi orpelli.
Metterò a modino e persino in rima di me che spadello tra i fornelli.
Ma cucinerò per te soltanto i fiori che ho scelto tra i più belli.

Vedrai, sarà una canzone niente male.
Come quando ci siederemo lungo un fiume e parleremo di sogni/guai ma lo faremo con piacere.
E senza nessun imbarazzo quando la parola si trasforma in tacere.
E ti racconterò storie che ti vendo per la prima volta credevo io.
E ti confesso che ci sta che farò il finto modesto per inciso. E stupirò di uno stupore grande quando mi confesserai che quelle parole le conoscevi già, e che in un sogno/ altra vita hai già sentito.
Alla fine sarà una canzone che verrà bene ma con finale che forse
la farà finire male. Lo tengo già salvato in un file che sta sopra il comodino. Conscio del mio cazzo di destino.
E se tutto dovesse davvero finire non bene o peggio neanche cominciare scriverò un finale dove tu potrai tirarti fuori con scioltezza pensando ma chi cavolo me lo faceva fare?
Ed io potrò continuare con un cinico onore.
Che convince sostenendo che il meglio era passato.
Avendo ormai finito le rime con amore.
Ma se invece spezzerò quel destino e sarà qualcosa che durerà più delle parole, giuro che ogni ora ti scriverò con amore l'ennesima emozione.

Sìsì, sarà una sgualcita signora di canzone.
E chissà che un giorno non me la sentirai cantare per davvero in un palco scalcinato accompagnato da un piano, un basso e un vecchio che soffiazza dentro al suo consumato trombone.

giovedì 5 aprile 2012

E' bello svegliarsi presto al mattino



È bello svegliarsi presto al mattino.
Ha un che di mistico da queste parti. Ma volendo anche dalle mie è uguale.
Uscire dalla stanza quasi nudo. Respirare l'aria fresca che tra un paio d'ore,
strattonata via dal caldo equatoriale, lascerà il posto ad un afa opprimente.
Tagliarsi le unghie che mistero della fede qua crescono alla giornata.
Accendere il pc. Fumare sigarette. Pensare al tutto e al niente. Pensare ad una Lei che da due chiacchiere in chat si trasforma in energia che sottilmente si traveste di sensazioni.
Soffermarsi su quel dubbio olistico che t'accompagna da anni:
ma stiamo viaggiando o stiamo scappando?
Un po' di tutt'e due forse. Ineccepibili i motivi creano l'alibi che mi protegge e accompagna. Quel sottile senso di stanchezza sino alla nausea della vita che un po' m'impaurisce ma che poi e alla fine un senso ha.
Io non ambisco ad invecchiare.
Vorrei solo morire senza ricoveri o dolore.
Un bell'infartino e via. Per esempio.
La vita è un ciclo di nascita e morte all'infinito.
Fin qui non ho nessun dubbio.
Il dopo e il perchè/come casomai son pieni di dubbi.

Preparare la spesa per il ristorante. Fumare ancora. Fumare fa male lo so, ma io adoro fumare. Poco da fare.
L'idraulico che rompe e prova l'inghippo Tiraviasoldi. Invano. Troppo scafato mi trova per permettersi rapine a man leggera. Mi chiamano Karioki qua. È un nome Kikuyu. Tribù che amministra bene i soldi, tra le altre. Dopo tutti questi anni ci sarà pure il suo porco motivo no?

Ricomprare sigarette. Ripensare a lei che si muove per la vigna ma che non lavora. Se la gode. Provare un po' d'invidia del suo lui.
Provare un po' d'invidia di voi tutti.
Ma solo un attimo. Che dura da un'eternità.
Bere un better lemon ghiacciato. Berne due. Sparire da me stesso per un po'. X ritrovarmi poi ancora qui. Saluti di gente che non conosco ma loro si. L'olandese stronzo che d'ufficio qui accanto attacca a brasare i coglioni
da subito. Che razzisti che sono.
Controllare la spesa in arrivo mentre il ristornate si riempe di slang swahili. Pomodoro x la pizza e pulite tutto x bene. Che tanto poi controllo.
Connettersi in rete e trovare due parole di lei che un sottile brivido stralasciano.
È vero.
È proprio bello svegliarsi presto al mattino

lunedì 2 aprile 2012

Credevo fosse la fine. Invece era solo un altro inizio. (della serie: ma non doveva essere) By By, Mon Amour ?






24-03-12

E così sono passati altri 6 mesi.
Volati diciamo. Come spesso succede quando tutto va come deve andare, quando sei dove devi essere, quando la lezione da imparare è quella e niente altro. Sì sì, volati. Turbo-calendaricamente.
E mi ritrovo così sotto un sole implacabile che non lascia tregua ne possibilità, che toglie lucidità, energie e ti lascia basito, prosciugato, senza parole. Ma umilmente conscio di essere sulla giusta via: nient'altro che la mia.
Ne sono successe in questi mesi?
Bho. Diciamo di sì.
Ma in realtà non è successo un granchè “al di fuori di me”.
Ma “dentro” è stata una vera rivoluzione.
Ho scoperto per esempio che non mi piacciono più le donne nere.
O cmq qualcosa del genere.
Lo so, non se ne parlerà su La Stampa ma mi sono sorpreso a sorprendermi. Mi sono sempre piaciute. C'ho fatto pure un figlio con una di loro (l'unico credo), e al di là delle nostre menate talebano-cattoliche, quella donna la ritengo a tutt'oggi una che mi ha voluto davvero bene. Il feeling che si creava era sempre immediato ed efficace e lo scrupolo si è sempre tenuto ben alla larga.
Ma stavolta è stato diverso.
Con ogni probabilità non ho incontrato nessuna nera “come me”.
Forse e più facile xchè un'amica (28anni) che conosco da tempo e bazzica qua è stata contagiata dal suo rastone che era tanto diverso dagli altri.
Parlo di aids.
E devo ammettere che i rischi corsi molti anni addietro e dai quali sono uscito fortunatamente indenne sono riemersi a ricordami che sfidare la fortuna troppe volte è un black jack con poche possibilità di riuscita.
L'età, forse il destino che mi attende chissà, forse semplicemente xchè nella vita si cambia noi malgrado, hanno fatto il resto.

Ricordo come fossero due secoli fa il mio arrivo.
Ottobre. Pioveva sempre. Mille pensieri nevrotici e compulsivi del mio futuro italico sul quale non avevo nessun potere ma che primeggiava imperterrito, ingombrante e pieno di concetti taroccati.
I ricordi dei brutti sogni notturni. La scoperta della meravigliosa serie tv Flash Foward (grazie Antic). La sobrietà quasi totale che francamente non mi appartiene (che ho smesso di bere ha scioccato un po' tutti, memori della mia tenuta nel tracannare birra Tusker Malt e poi giocare al biliardo).
L'inglese straricca che s'innamora per tutta la vita ma il tutto dura un pacchetto di cicche (x spiegare un po' il Kenya: che è ricca lo hanno saputo tutti nei mesi dopo, che potevo fotterle dei soldi lo sanno tutti dato che voleva comprarmi un ristorante, che non le ho toccato un centesimo lo sanno tutti xchè lei l'ha confermato in giro...risultato?...mi son preso dei gran colpi di bischero dai soliti tutti. Ma la mia testa, in questa piccola town che tanto amo ma che si avvia sul sentiero del tramonto forse definitivamente, gira e girerà sempre ben alta e le mie battute a mezzi pedofili e rifugiati sempre più ciniche e sprezzanti. Il vantaggio dell'essere fessi, a volte).
L'ascesso ai denti curato con la morfina allungata dall'allegro farmacista che mi ha guarito e compiaciuto.
Le venti offerte di lavoro evaporate tra promesse improbabili e un incompetenza quasi plateale da parte di italiani stanchi di rubare in patria ed emigrati qua x tenere alta la nostra reputazione tra ragazzine, merdate e droghe varie.
Insomma un bel quadretto.

Bon. Si rientra.
Che succederà? Riesco ad immaginarlo?
No, per niente.
Rientriamo e poi vediamo......................................................................


02-04-12

Eppoi invece come spesso succede la scena d'improvviso cambia.
L'atto si scenografa di nuovi ninnoli e il rientro si veste di toccata e fuga.
Si torna giù. Ma dovrei dire qua dato che son già.
Giusto il tempo di farsi perdere il bagaglio e farsi rubare le vettovaglie.
Un traslochino tanto per gradire. Lacrime di mamma. Mezzo malato quasi da subito. Amici/he sempre meno. Depressioni misurate tra cocaina e rhum di gente che s'ammassa nei bar paesani tra cassa integrazione e i-pad che paura tanto mi fanno ma questa non la scrivo.
And et voilà.
Ad iniziare di nuovo da capo a lavorare per ristoranti. A far la spesa a modino. A discutere eoni sul prezzo di stò cazzo di pesce che a MalindiDiFronteAll'Oceano costa un'eresia. A sudare l'impossibile.
A guardare la mia Malindi che sta scivolando in un oblio dal quale con ogni probabilità non uscirà mai più. E a decidere se sto cavolo di pisello me lo taglio ho inizio un pochino ad usarlo anch'io. Che sembran goliardie, ma viste da Lui -ma anche da me- non è che poi. Per dire.

Insomma. Sembrava una fine ed invece era un altro inizio.
La mia cartomante di fiducia me lo predisse 25 anni fa: la tua vita sarà un ciclo di inizio e fine. La lezione del cuore, spiegò ai miei occhi ammaliato/scettici. “E poi che ci fai in Casentino?...parti!”. Aggiunse.
La presi in parola. Il giorno dopo lasciai la mia donna di allora con la quale convivevo pure e partii per l'India. E poi non mi sono più fermato.
Devo ancor ringraziarla, anche perchè, e fa strano, lei era la madre della donna con cui vivevo. Mica male come suocera eh?