martedì 4 dicembre 2012

Per Tutto Il Tempo Che Basta



chapter 2

"Angelina"


Angelina era considerata una matta un po' da tutti.
La guardavano un po' in tralice e i più impauriti, di rado e solo alcuni incuriositi, più spesso e quasi tutti con un disagio che non trovava riscontro nell'ordinario delle loro vite inconsapevoli e precarie.
Inesorabili e ciechi la giudicavano sbeffeggiandola con ogni probabilità più per esorcizzare le loro paure che altro, con sciocche parole piene di pregiudizio e
incatenate all'ovvietà, prigione metafisica di chi crede che la Vita sia stare o di qui o di là.
Perchè Angiolina era una che parlava in confidenza con gli spiriti, che andava a braccetto con gli gnomi invisibili e che dava del tu ai draghi sputafuoco, ai brucafilli e le trilli di ogni sorta.
Dava l'imbarazzante sensazione di essere a conoscenza dei segreti della luna e di sicuro viveva in intimità e ci sapeva volteggiare nell'alone magico del perimetro dei pianeti più lontani.
Angelina dava l'inconsueta sensazione di tenere stretto il mondo intero tra le mani.

Ma la cosa che più amava era la pioggia. I temporali. Le nuvole nere gonfie d'acqua pronta a rovesciarsi sulle strade, sui campi, sulla terra, sulle nostre vite spettatrici.
Le osservava attenta ad ogni mutamento, ad ogni sfumatura. E ne intuiva subito la portata, l'intensità e la durata.
Non vedeteci niente di triste o cupo in tutto questo. Angelina non l'avrebbe mai fatto.
Perchè lei era perfettamente consapevole di una verità semplice che sfuggiva ai nostri sguardi distratti e condizionati: il sole dietro quelle nuvole si stava solo riposando, si prendeva solamente un momento per se stesso, come una verità inossidabile che si nasconde come un sorriso nel dolore, come un gioco che cerca una pausa necessaria per essere più bello da giocare, come una felicità intensa che non può durare tutta la vita, ma di sicuro può vivere solide ore.
Appena il cielo iniziava a riempirsi di quei cumuli grigi che rimandavano al buio lei invece si accendeva, ed un immenso cerchio colorato e colmo di calore si spandeva dentro di lei.
Si affacciava sul piccolo balcone ed osservava estasiata le finestre del cielo chiudersi, le forme a volte astratte e a volte definite in strane figure che le nuvole formavano. Annusava profondamente l'odore che annunciava la tempesta. Ne sentiva l'impeto imminente. Ne percepiva la forza, la volontà, il disegno totale. E s'inebriava di quegli odori come un poeta ispirato che stava per rimare la sua quartina perfetta.
Ed era sempre in quel preciso istante che qualcosa di magico si faceva largo tra i suoi sentimenti, le sue emozioni, i suoi pensieri pieni di sogni cesellati di reale, di futuri radiosi e immagini adamantine.
Si vestiva veloce e sgattaiolava fuori e correva verso le riva del fiume incurante dei rimproveri materni.
Era lì che amava aspettare la pioggia.
Chiudeva gli occhi alzando la testa verso il cielo respirando profondamente.
Ed un'energia magica e occulta iniziava come ad impossessarsi di lei.
Sentiva il suo corpo percorso da una sottile e frenetica vibrazione, la sua mente si riempiva di note soavi e tribali, e quando cominciava il diluvio iniziava a ballare come posseduta dagli spiriti benevoli in una danza dai passi soffici e lineari.
Si muoveva come in un balletto nato da una coreografia esperta e piena di passione, disegnando figure armoniche e ancestrali mentre godeva delle gocce di pioggia che scivolavano sul suo viso disegnando piccoli rigagnoli astratti.
Provava un piacere sensuale nel percepirle diluirsi nella sua schiena di donna sinuosa
e godeva come brivido d'orgasmo nel sentirle scivolare lentamente in mezzo alle sue belle gambe, immaginando i lunghi capelli zuppi adornarla come la corona di una regina.
E sorrideva, e cantava ad alta voce motivi che neanche conosceva ma che uscivano dalla sua bocca come una rima baciata dagli Dei. Le sue mani si trasformavano in armonici pennelli che disegnavano nello spazio tutto intorno figure concentriche che catturavano lo sguardo e le emozioni e che lasciavano scie d'energia. Riempendo d'armonia tutto lo spazio lì intorno e domavano anche il più cupo dei rumori.
Conquistando davvero tutto e di sicuro anche i più aridi cuori.
E quando rientrava zuppa e pieni di schizzi di terra il suo viso invece sembrava parto
del sole ed il suo corpo emanava una vibrazione sottile che ti faceva percepire qualcosa di celestiale. Chiudeva gli occhi e si godeva la sensazione di quei vestiti appiccicati alla sua morbida pelle come la carezza dell'amato e ringraziava la Vita, il Cielo, il passato, il presente e tutte le forze del Creato.
Poi sotto la doccia chiudeva gli occhi e si godeva per un tempo infinito l'acqua calda ed i suoi morbidi vapori che portavano via le scorie e lucidavano l'essenza di quella sensazione lasciandola in uno stato di pace porta del divino.
Poi dopo si sdraiava sul suo letto avvolta nell'asciugamano chiudendo gli occhi per vivere intensamente quegl'ultimi momenti inebriati sospirando piano, profondamente, e ascoltando il suono di quel lieve ritmico respiro si addormentava con un sorriso sognando meraviglie.

Mha, chissà che dirà la gente!”, borbottava il padre Eustelio a tavola con sua moglie
Ametrana mentre la televisione s'adoperava per imprigionare le loro menti come uno scaltro, disonesto imbonitore.
Ma che ti importa! Lasciali parlare. Non vedi com'è contenta?”. Rispondeva cuore di mamma cercando una mediazione tra le sue preoccupazioni e quella strana, inspiegabile giustificazione che dal contenitore dell'anima la rassicurava che invece tutto andava bene, che tutto era come doveva essere, che benedetta dagli Dei, Angelina era speciale, un Essere puro e che niente aveva da dividere con la pazzia.

Nella sua bottega onusta e polverosa di falegname dove ogni odore riportava a tempi andati Eustelio pensava spesso a sua figlia.
Ed anche se la sua mente e la sua logica partigiana erano contrari a quell'atteggiamento che teneva nei confronti della vita, sentiva che qualcosa gli sfuggiva di tutta questa bizzarra situazione. Anche se non voleva ascoltarlo percepiva quasi origliando una sussurro che si formava dal profondo come una saggia guida dentro di sé che lo rassicurava, che gli mormorava dolcemente che sua figlia era un Essere che aveva capito la Benedizione dell'Universo.
Ma poi quando al bar mentre giocava il caffè con gli amici a quella briscola sempre troppo uguale, le battutine, i verdetti e le osservazioni sui suoi strani comportamenti lo riportavano nell'imbarazzo, nel disagio, nel voler per forza credere che le regole della nostra vita sono sempre dettate dai giudizi scontati degli altri, se non peggio da quelli che sono condizionamenti e che invece ci illudiamo essere nostre ferme convinzioni coercitivo retaggio della gabbia delle menti.
Ed era più forte di lui, pensava sconsolato. Anche se quel sottile disagio che provava quotidianamente si alternava a riflessioni che lo stupivano, stordivano, e che creavano una brezza sottile di confusione di cui non trovava capoverso.
E ricadeva nel loop dell'ordinarietà quasi vergognandosi.
Ma di lì a poco sarebbe successo qualcosa che avrebbe stravolto tutto e ristabilito le regole olistiche che ogni essere umano porta dentro di sé dall'inizio dei Tempi.

Eustelio corri! Angelina è impazzita! Corri!”.
Pover'uomo, gli prese quasi un colpo pensando ad un incidente se non al peggio.
Buttò la pialla sul tavolo e gettò via lo spolverino e corse dietro all'amico verso la piazza del paese con il cuore che rimbalzava sulla gola ed una stretta allo stomaco che gli impediva quasi di respirare. E quando arrivò notò tanta gente immobile disposta quasi a cerchio e la vide sotto uno splendido sole che disegnava ombre
nette e disinvolte nelle pietre della vecchia piazza, con la folla che disposta quasi in cerchio intorno a lei dava l'idea di un palcoscenico improvvisato.
Vide Angelina che ballava completamente nuda baciata dai raggi del sole che risaltavano il suo splendido corpo, e per un secondo credette di morire.
Ma invece non successe.
Mentre sgranava gli occhi per capire se tutto quella che stava guardando era vero per davvero, sentì un'energia intensa e dolce partire dallo stomaco e che andò ad intarsiarsi nella sua mente e nelle sue emozioni. Percepì le porte del suo cuore aprirsi e sciogliersi in un mare di dolcezza che creò una consapevolezza nuova e antica allo stesso tempo e che lo avvolse come una placenta rassicurante, e capì.
Guardò un angelo ondeggiare e ballare con una grazia che non aveva mai visto ne immaginato ed i suoi occhi si riempirono di lacrime, la sua mente si acquietò e la morsa nelle viscere si sciolse mentre un amore fino ad allora sconosciuto lo avvolse rassicurante, e sorrise.

Falla smettere! È un'indecenza!”
Era Don Carlo, il vicario del paese, che gli stava urlando in preda ad uno sdegno falso parto dell'ipocrisia religiosa un ordine perentorio che Eustelio neanche udì completamente avvolto dalla danza della figlia.
Perchè dovrei? É la cosa più bella che ho visto nella mia vita!”.
Rispose con un sorriso benedetto.
E per quanto tempo dovrà durare ancora tutto questo scempio?”
Urlò ancora il vicario sull'orlo dell'isteria.
Girandosi solo un attimo Eustelio lo fissò negli occhi pieno di una compassione sconosciuta a quel piccolo uomo di chiesa e replicò:
Se lei e gli Dei lo desiderano, durerà per tutto il tempo che basta".

lunedì 26 novembre 2012

Per Tutto Il Tempo Che Basta




Chapter I

Peter Panico”

Non ci crederete voi e ad essere sincero non c'ho mai creduto troppo neanch'io alla storia che raccontò Alonso Karis in quel bar cupo e scalcinato messo in penombra dagli avventi degli eventi e dal cinismo delle speculazioni edilizie in quel martedì anonimo pieno di nubi, pioggia e nichilismo diagnostico.
Non ci credereste e fareste bene.
Perchè visto lì appoggiato ciondolante a quel bancone malandrino che si riempiva di bicchieri vuoti e parole distoniche che si pavoneggiavano svisando su sgocciolii di bottiglie di birre svuotate e di gottini di pessima sambuca all'unisono, luisone dignitose ma risecchite esposte agli albori dei tempi, a raccontar dimenticandone i preamboli, ricucendo con flash back da bingo 'sta storia del Peter Panico, a riportarne per intero squinterne illuminazioni, paradossali aneddoti e strampalati aforismi bhè, non era proprio un bel vedere e ne un bel sentire. Sia chiaro.

Eppure anche lì al bar ci fu chi gli dette credito da subito.
Il Giampi per esempio, che si bevve come oro colato tutto e poi nei giorni a seguire recitava a memoria, orgoglioso come un opossum, brani di quella storia con cipiglio e una certa vena artistica che gli fu riconosciuta un po' da tutti.
Per non parlare del Ristretto e il Casanova. Fino persino al vecchio Pallai. Che l'ultima cosa in cui aveva creduto era stato, giovane e stupido raccontava amaro, l'avvento del comunismo nel globo. Pure lui la prese per buona.
E ne alzò le quotazioni stupendo persino i bookmakers dei video-poker che la davano mezza palla.

Quindi tu credi di essere consapevole di quello che fai? Lo credi davvero? Non è che per caso vivi come in una Matrix qualunque le tue idee che invece nient'altro sono che imprinting di una memoria digitale che ti manovra come una marionetta?....” La citava continuamente e a voce alta 'sta frase il Giampi che gli aveva fatto proprio un grand' effetto all'intelletto. Anche se poi pronunciava la x di Matrix come una esse e ne usciva una cosa strana, ma guai a farglielo notare, il Casanova aveva sudato un bel po' per riportare la permalosia a livelli di amichevole discussione dopo la considerazione. Veritiera, sosteneva sottovoce il Ristretto, che come barista era si un grand'uomo, ma viverla tutta dentro un bar scalcinato per l'appunto, lo portava borderline acido sulla diatribica questione d'acchito, ammettiamolo dai.

Alondo Karis si svegliò svogliato quella mattina uggiosa smascherata da piccoli bagliori di luce che s'infilavano come traiettorie disegnate da una mano ferma nella nostra quotidianità obsoleta.
Succedeva già da un po', pensò.
Mise su l'ultimo album di Chat Baker e preparò una moka esagerata di pessimo caffè e la scolò usando il tazzone che gli aveva regalato la Esperanta anni fa, quando la sua vita viaggiava su binari sicuri e non c'era ancora sentore di quel deragliamento che di lì a poco avrebbe terremotato di netto e di lordo la sua esistenza.
S'affacciò alla finestra che inquadrava una giornata grigia, piena di gente grigia, di facce grigie, tutto grigio là fuori. Meglio rimanere rintanato nel bunker-monolocale, sentenziò con quella falsa sicurezza che era diventata il canovaccio della suo modo di vivere. Si sedette al tavolo e accese il PC innervosendo da subito della lentezza che mugghiava tra quei MB digitali, ma appena stava per iniziare a tentare di portare avanti quel romanzo che si era arenato quasi subito sulla tastiera e nelle pieghe della sua mente confusa, apparve come dal nulla Peter Panico.
E si voltò di scatto e un po' impaurito.

Ciao grand'uomo, mi aspettavi vero?”. Non era un'allucinazione, cazzo, parlava pure, considerò mentre il suo sguardo sgranava dalla sorpresa inaspettata ad una consapevolezza agnostica e netturbina.
il tuo romanzo fa cagare, lo sai vero? Gli ho dato un occhio stanotte, ziocan!, scrivi come un labrador!” Il Panico iniziò volutamente pesante mentre Alonso cercava nervoso le paglie e ne accese una aspirando profondo. Quella dipendenza arrivò a riportarlo con i piedi per terra dentro quel recinto-prigione dove si era incatenato da solo e quasi consapevolmente.
Vedi” aggiunse il Panico con uno sguardo canaglia e le mani in tasca “Non saresti male invero, ma cerchi sempre di fare il verso a qualcun'altro. Non so bene a chi, ma qualcun'altro sicuro. Ti studio da un po' ragazzo. Hai dei numeri, ma invece di giocarteli dovresti viverli. Se capisci la differenza e di cosa sto parlando, chiaro”, e senza quasi riprender fiato continuò “ e poi sta cazzo di Esperanta...ma falla finita! Ma butta via quelle foto lì, butta via quei quattro ricordi scrostati e in pessima filigrana, vivi aggrappato al niente e poi ti stupisci che il niente ricevi”.
Ma che cazzo dici?” vuolà, Alonso toccato nel vero scordò l'inconsuetudine ed entrò nella discussione senza porsi più domande sul vero e l'illusione. Graffiato sul pensiero più ricorrente scordò la strampalata situazione e si voltò pronto a difendersi, ad attaccare, e a farsi fare un culo così, metaforicamente straparlando.
Io alla Esperanta non ci penso più da anni” sentenziò fissandolo con fare da rissa.
Il Peter Panico iniziò a ridere “Ehhh. Lo vedo lo vedo. Tutto qui sa di lei e di cosa ti è costato questo sbaglio. Perchè di sbaglio si è trattato. O credi ancora che fosse amore?”
Ma chi sei tu, si può sapere? Come ti permetti di apparire così nella mia vita?”.
Chi sono io? Io sono il falso ossimoro che non riesci a decifrare, la granata che polverizza le tue illusioni, il dolore assuefatto della certezza reale, io sono soltanto quello che tu vuoi essere ma hai paura di essere”.
Cioè?” incuriosì Alonso.
Io sono qui perchè tu mi hai voluto qui. Forse non lo sai razionalmente ma così è. Io sono qui solo perchè tu mi hai cercato. Solo per questo”.
Ma se neanche so chi cavolo sei!?”. Quasi urlò Alonso in preda ad un vortice fisico d'emozioni che sconquasso portavano senza manco gettar nel lago il sasso.
Te l'ho detto. Io sono l'inconcruenza necessaria. L'angelo spietato che si nutre di ossa e verità. Io sono solo e soltanto il tuo alter ego cannibale e insaziabile, il gioco delle parti sopra le parti, io sono quello, se mai davvero lo vorrai, che un giorno tu diventerai”.
Per un attimo pensò di essere impazzito e all'improvviso. Non che ci volesse molto, a dire il vero. Alonso era uno che aveva qualcosa da dire, ma non sapeva, recluso dentro un passato che non trovava perimetri ma solo dolorosi episodi, da che parte iniziare. Quegli anoressici pensieri stavano arrivando al loro fottuto traguardo. Se solo avesse capito, come noi speriamo, l'opportunità, si sarebbero risolti in un attimo e in un fastidioso gioco che include l'enigma, la soluzione e il templare baluardo.
Si versò nel primo bicchiere che trovò una dose abbondante di rhum. Sentì il dotto alcool percorrerlo ondivago. Ne bevve un altro senza fiatare come un giavellotto che sa dove deve finire. Poi un altro ancora, e vomitò subito dopo e per un attimo pensò persino di morire.
Quindi acconsenti alla mia diagnostica? Me la dai buona?”
il Peter ci dava dentro di brutto. Non si capiva bene perchè, ma gli stava spezzando le gambe, con metaforica concettuale retorica. Se qualcuno sa cosa cazzo voglia dire. Ma non ne fece dramma. Continuò imperterrito come un bufalo a scornarlo con un sorriso. Se poi l'Alonso avesse capito l'aneddotto provocatorio, c'avrebbe pure riso.
io non acconsento un cazzo!” Urlò ravanando sul tavolo alla ricerca di un'ennesima sigaretta.
Io sono un uomo che vive! Che decide e che combatte, io!!
Concluse in un fraseggio scontato, calcio in culo alla realtà ma tutto concetto precotto di pensiero efisema del passato.
Fu a questo punto che il Panico tirò fuori la storia di Matrix. Ma non parlava del famoso film. Si collegava dotto ai concetti di Gregg Braden, che con queste teorie c'aveva guarito un tumore, conosciuto l'immortalità dell'Essere e pure il puro piacere di spiegarlo agli altri come un concetto granitico che nasce da un'esperienza vissuta, da qualcosa che preti e autorità non posso incrinare, come uno che aveva capito Tutto il concetto di Vita e lo sapeva non solo vivere, ma pure dimostrare.
Ma l'Alonso non sapeva un cazzo della vita e gli scritti di Braden. Si sentì per un attimo un Neo Qualunque che qualsiasi guerra poteva vincere, e sparò una filata di cazzate autarchiche che qui non riportiamo per rispetto, diletto, e perchè quando sei così Piccolo, meglio lasciare fare la cronaca, l'orgoglio e pure l'intelletto.

Quando si voltò dopo l'ennesimo rhum il Peter Panico era sparito.
Sarebbe tornato ancora a veleggiare tra i suoi sogni, tra le sue paure e le sue psico-certezze.
Ma Alonso non sapeva ancora tutto questo.
Finì la bottiglia di alcool e da quel giorno si trascinò tra le burrasche della sua vita.
E quando qualcuno al bar si/gli chiedeva dove avesse raccattato questa batosta rispondeva sempre balbbetando allo stesso modo biascicando quell'opache parole.
So da dove è arrivata e so che durerà per tutto il tempo che basta”.

(To be continued)







lunedì 19 novembre 2012

Forse Ti Uccisi



Ho ricevuto questo breve racconto stamani. 
L'ha scritto una donna che ho amato, che amo e che amerò per sempre. 
Perchè se lo merita. E perchè me lo merito.

FORSE TI UCCISI

(Breve racconto di Il'aria Mosca)

Forse ti uccisi. Ma non fu una mia decisione, fu una tua richiesta.
Quando arrivi a supplicare un’altra persona di prendersi una tale responsabilità, sai che non ti potrai tirare indietro. Hai già stabilito il tuo cammino, per le tue ragioni, e cerchi l’aiuto necessario in qualcuno nel quale hai piena fiducia, qualcuno sulla cui comprensione profonda non nutri alcun dubbio.
Questo, ovviamente, nei tempi remoti, nei giorni passati di vita fatta d’essenza.
Oggi, è infinitamente più difficile.
Ti piantai un pugnale nella carne, guardando nei tuoi occhi la tua lenta ed inesorabile trasformazione. Un rito di passaggio verso un’altra dimensione per il tramite e la mano di un altro essere umano. Rischioso, pericoloso, doloroso. Controverso.. Giusto o sbagliato? Dando retta ai precetti d’una stupida chiesa, non vi sarebbe scelta. Ma allora, quella chiesa non esisteva, esistevano la fame e il freddo, la lotta per la sopravvivenza, ed i veri valori erano fratellanza e sincerità. E poi forse, allora, tu eri un cavallo, ed io un uomo. Un legame di fedeltà e lealtà che non conosce pari, totalmente reciproco.
Fu allora, quando ti conobbi ed ebbi la fortuna di condividere i miei passi su questa terra con te, che mi innamorai dello Spirito del cavallo. Perdutamente. Una scintilla di Dio, quell’amore. Nel mio cuore, vivido è il ricordo dell’armonia fisica,del carattere, della forza, del coraggio. I tuoi occhi grandi ed intelligenti, ancora mi guardano. E posso ancora sentire dentro me il tuo potere nelle cavalcate sfrenate e selvagge attraverso gli spazi immensi della pianura, libertà allo stato puro.
Dunque fu un momento crudo, che strideva sotto i denti serrati, che offendeva lo sguardo e l’udito, ferendo lo spirito più di qualsiasi altra cosa. E tuttavia un momento così forte da risultare luminoso.
Il mio amore fu così grande che ti lasciai andare, per sempre, in un atto di pietà e determinazione, solo perché eri tu a chiedermelo, a volerlo con estrema consapevolezza. Sapendo che sarei stata parte di te, sempre. Che saresti stato parte di me, sempre.
Tornerò e tornerò.
Tornerai e tornerai.
Indissolubilmente uniti in qualcosa d’incommensurabile, oltre la vita e la morte, al di là dello spazio e del tempo.

sabato 13 ottobre 2012

Non è un paese per vecchi




Se ho davvero amato una persona della mia intera famiglia è stato mio nonno.
Credo solo lui, purtroppo.
A lui ho dato sbarazz(ino)ato ascolto ragazzino ribelle senza sbuffi e stravaccate.
A lui ho chiesto consigli che nessuno di voi.
A lui, 86 anni sonanti nel fisico martoriato ma di cervello fino, ho dato ragione su diatribe politiche di parenti arrapati di litigare in fottuti pranzi natalizi allo sbando
che si ricomponevano in una sua semplice battuta che annientava analisi originali e sopraffine.
E che ci faceva sentire a tutti un po' mezze seghe.
Mentre sorrideva beato consapevole di essere arrivato in questo pianeta alla fine.
Che è morto un decennio fa, per inciso.
Ma a tutt'oggi, se qualcosa non va, alzo lo sguardo al cielo e chiedo consiglio chiudendo gli occhi e aspettando sicuro una risposta s/gradita.
Che arriva sempre.
E non sono certamente un bacia pile, preciso.

Eppure quel vecchio lì mi ha dato tanto per forgiare il mio concetto della vita.
E come lui tanti altri vecchi d'allora anche se in tono più minore.
Eran vecchi consapevoli del loro ruolo.
Eran vecchi con delle storie da raccontare.
Eran vecchi che non avevan paura d'esser vecchi.
Poca pila nelle tasche ma con un affresco di passato che partiva in bianco e nero e che i loro racconti acquarellavano poi di mille colori.
Eran vecchi con una dignità figlia della miseria e dell'arbitrio che echeggiava rivincita proletaria (l'ho detto, thò!).
Eran gente che del pelo nello stomaco avevano fatto virtù. L'arbitrio, appunto. Chiedetelo ad uno dei nostri vecchi di oggi se sa cos'è l'arbitrio.
Per mio nonno e i suoi pari fu un semplice sbandato pseudo ossimoro che provava a scrollarsi di dosso la guerra ed i suoi nefasti.
Ma non ne fecero vero dramma alla fine.
C'era un futuro dopo quelle macerie che li aspettava.

Quei vecchi lì hanno vissuto la loro vecchiaia fino in fondo.
Sembra una stronzata detta così ma invece poco lo è.
Se lo sono concesso.
Anche se dividevano in quattro famiglie un cazzo di cesso.
A battere nei tavoli d'osteria denari e bastoni.
Sempre con il bianchino accanto e se passava il prete una bella strizzata di coglioni.
Eran vecchi veri. C'è poco da fare.

E arriviamo ai nostri olografici tempi.
Dove sono finiti quei vecchi?
Ci sono ancora?
O sono soltanto acrilici ricordi sparati in giro un po' romanticamente e a casaccio?
Non ci sono più dai.

Guardateli i vecchi di oggi. Guardateli bene.
Guardateli al supermercato. Quando parlano con un pacco di pasta risentiti perchè il prezzo nella pubblicità Mediaset era più basso ma di poco.
Quando comprano assuefatti i gratta e vinci da 5 euro.
Guardateli mentre commentano inviperiti le stronzate di Forum o La Vita In Diretta.
Guardateli a passeggio per le city. O baldanzosi di sterno ben fuori o retti da qualche badante dell'est.
Nei parchi con il loro nipotini a rivendicare imperplessi il loro come back verso l'infanzia. Oppure quando al bar salutano strisciando e si fanno con un semplice gesto poi servire di nascosto i loro bianchini.
Guardateli nella loro routine della sala d'aspetto del dottore della mutua a far passare il tempo. Guardi dottore, mi duole la schiena le braccia la prostata e ieri dopo il cinghiale in umido m'è preso anche un crampo.
Guardateli mentre aggeggiano con il cellulare per parlare magari con la figlia,
magari con la moglie separata o meglio ancora con la classica romena di vent'anni più giovane a fare i trombatori in una squallida sceneggiata.
Che alla metà gli prende con il cane e lo portano sempre a passeggio non perchè lo amano, ma perchè non sanno che cazzo fare e gli fanno vivere a quella povera bestia una vita coatta da damigella.
Guardateli mentre guardano compiaciuti il culo di vostro figlia di 15anni ma ammazzerebbero tutti i pedofili alla forca e votano compatti Bersani.
Che gli hanno promesso il posto per la nuora alla Coop. Capirai.
Guardateli. Sembran tanti Gabibbi.

Qualcuno dirà: è colpa della società.
E con ogni probabilità c'è del vero.
Ma se la società è fatta da esseri umani, e se davvero esistono colpe, bhe, i vecchi di oggi ne sono corresponsabili, i responsabili colpevoli in contumacia e chiusa qui.
Se in 40anni l'Italia è andata a gambe all'aria molto a loro si deve.
Nell'aver accettato supini certa politica.
Certo modo di rapportarsi al mondo del lavoro.
Di aver accettato un metodo raccomandatorio a quello meritocratico.
In tutti campi. Dal sociale, all'arte, dalla cultura al lavoro e alla Polis stessa.
Solo una generazione di mezze seghe poteva sopportare 50anni Andreotti.
Come soltanto una generazione che anela alla libertà poteva impalare Mussolini.
O no?

Forse e anche per questo, avendone con ogni probabilità coscienza da qualche parte, regrediscono tutti allo stato neonato.
Li vedo solo io nei giardini pubblici a rincorrere nipoti viziati che hanno già (a due/tre anni di età) la Vita dentro una fossa?
Li vedo solo io ad eccitarsi per un cazzo di giochino elettronico che rimbambisce la testa loro e quella della prole?

Da un po' di tempo lavoro per una “cooperativa” di camerieri che (s)vende carne umana per catering.
Sapete chi è sempre e comunque il boss della cucina dei suddetti catering?
La Sora Anna, la Sora Marisa. La Sora 'Sto Cazzo.
Vecchie cattive e rintronate che riscuotono pensioni d'oro (intendo pensioni da 1.5/1.8ento euro che personalmente ritengo d'oro), prendono 150 euro a servizio e trattano tutti come se fossimo ebrei in un lager.
E poi magari le senti mugugnare perchè la nipote estetista o laureata o prostituta (spesso le tre cose insieme) non trova lavoro.
Sono iper-convinte che Berlusconi/D'Alema siano Gesù ritornato in terra e comprano 50euro di gratta e vinci al giorno maledicendo il governo ladro.
Incredibile.

Provate a vedere la televisione e non guardarla.
Di cosa parlano le pubblicità per tre/quarti del giorno?
Di carrozzine elettriche, di villaggi/vacanze per la terza età e cateteri.
Tutto per i vecchi.
Il target migliore. Gli unici in questo mondo del cazzo con il redditto assicurato (e garantito dal sudore di gente che la pensione non la vedrà mai)!!!
Ne sono consapevoli ma si inalberano se glielo fai notare, rimbambiti da 40anni di DC e PCI e Pseudonani vari. Vecchi che odiano questa parola e ossessionati dalla Morte, senza mai pensare che il 90% di loro la Vita, non solo non l'hanno vissuta, ma
mai sfiorata e nemmeno sognata.

Chiudo perciò con un motto dotto di rabbia che sa di stupidaggine ma che invece è filosofia quantistica:
i vecchi d'oggi andavano tutti ammazzati da piccoli.



mercoledì 5 settembre 2012

Zula


Post: alcune belle persone che hanno letto il mio libro ultimamente l'hanno menata molto con questo racconto. Nel  senso che è piaciuto. Così lo postiamo.  Agli amici di Valle Santa lo dedico.

E sia ben chiaro che domani Zula se ne va da questa casa e non voglio sentire storie!
Urlò inviperita Iole verso la famiglia radunata intorno alla tavola sotto il patio a frescheggiare.
Tutti guardarono Zula un po’ imbarazzati ma lei non ci fece troppo caso. Con quegli occhi limpidi e pieni di sincerità
finì di mangiare quei due pezzi di carne e andò in giardino da sola e a testa bassa.
Dunque domani si riparte. Pensò seduta sotto un mosaico di stelle a respirar leggera la brezza del crepuscolo.
Non era certo una novità per lei. Già poco dopo nata la madre. Una Ghiriama che partoriva una volta all’anno.
L’aveva abbandonata senza giustificazioni per accasarsi a far la vita comoda nella villa di un muzungu.
E non ne aveva fatto un dramma. Aveva semplicemente cercato di sopravvivere e ci era riuscita fino ad oggi.
Non ne fece un dramma nossignori.

Dormì in giardino quella notte. Sognò e si rigirò distesa nell’erba umida ma al mattino con il gallo era già pronta per andarsene. Senza bagaglio. Tanto a parte il tetto sotto il quale dormiva e quella semplice coperta non è che possedesse un granché.
Partì da Kilifi e si diresse lenta con fare vagabondo verso il north coast. Senza una destinazione precisa. Faceva un caldo quel giorno che stendeva e dopo pochi chilometri trovò un ruscello e bevve acqua fresca che la rimise in sesto.
Poi sotto quel grosso albero dormì un paio d’ore in un silenzio che aveva dimenticato dato che nella casa da dove l’aveva sbattuta fuori c’era una confusione muzunga praticamente per 24 ore al giorno.
Per un attimo ripensò a Iole che era sempre stava scontrosa e insofferenze ma la capiva dato che aveva due bambini da accudire e non aveva certo tempo da perdere con una come lei.
Poi quando inquadrò i visi di Massimino e Duccio e Francesca cambiò espressione per un attimo quasi a sorridere.
A loro voleva un gran bene.
Massimino aveva tre anni. Una peste. Cresciuto n Africa poi. Aveva i capelli biondi biondi e il naso aquilino e dava delle botte che la metà bastavano. Con uno strano modo di camminare. Forse l’età. Ma quando correva verso Zula lei istintivamente si alzava che poi lui le crollava praticamente addosso.
Si divertirà così. Pensava nel guardarlo gigionare poi disteso sul pavimento.
Ma nel sonno ogni tanto si metteva a strillare contro chi sa quali oscurità che a Zula veniva la pelle d’oca e spariva discreta in un’altra stanza. Senza fare storie.
Duccio era il suo preferito. Due anni portati alla grande che già parlicchiava e camminava e batteva delle testate in giro che lei non ce la faceva mai a fermarlo in tempo.
Svelto com’era.
Aveva un occhio un po’ chiuso e Zula adorava vederlo con quell’espressione di uno che ha sbagliato tram ma
non vuole darlo ad intendere. Come adorava quando si metteva lì a straparlare parole incomprensibili con la vaga illusione che lei comprendesse qualcosa. Ma in realtà non capiva un’acca anche se non glielo fece mai intuire.
Francesca era una storia a parte. 16enne in calore dedicava ore a sistemare quella foresta di riccioli che si ritrovava mentre Zula le sedeva discreta accanto sorbendosi i suoi inevitabili commenti sulle varie acconciature.
Chissà perché poi se la tirava tanto per le lunghe. Aveva un fidanzatino africano molto carino che se sua madre lo immaginava soltanto succedeva il finimondo. Un sacco di amici che la cercavano sempre. Non riusciva proprio a capire perché usasse sempre la sua compagnia come scusa e raccontasse ai suoi che andavano a camminare al mare che
a Zula piace tanto quando non era vero per niente solo per incontrare poi in segreto il suo giovane amato. Non era meglio trovare un’altra scusante? Che poi lei finiva sempre seduta in un angolo con una candela in mano ad ascoltare sospiri e ben altro mentre i giovani credevano di farla impunita. Una volta provò a farglielo capire allungando il passo verso casa e ignorandola quando la chiamava con dei dai aspettami. Ma poi il giorno dopo fece lo stesso.

Thomas si guardò attorno in una Malindi di lunedì notte che non c’era un’anima in giro neanche ad offrirgli moneta. Inquadrò la storia indugiando un attimo e si domandò se per caso non era finito nel posto sbagliato.
Il Gazzettino Del Crepuscolo la dava come una buona destinazione. Gente ricca e con grandi case. Cibo a volontà e fanciulle in ogni dove. Quando arrivarono alle sue orecchie queste informazioni non ci pensò due volte e partì deciso e senza indugi. Era stanco di vagabondare per i villaggi senza far niente a sperare nella compassione di qualcuno che
dividesse con lui un po’ di cibo. Poi trovò un angolo riparato che gli dava sicurezza e si addormentò con un occhio aperto. Consumò così la sua prima notte in town.
Al mattino iniziò a realizzare meglio dove si trovava. Il trambusto della gente e delle auto e dei pulmini lo colse improvviso che lui schizzò in piedi d’istinto. Si guardò intorno un attimo e si avviò in giro a cercar fortune.
Ebbe la sensazione che non sarebbe stata facile. Ma non lo disse mai a nessuno.
E di belle fanciulle in giro. Per adesso. Neanche l’ombra.

Quello stesso giorno anche Zula arrivò a Malindi.
Aveva viaggiato quasi sempre di notte per scansare il caldo che nelle ore diurne spezzava le gambe. Ma non si infilò subito nella town a curiosare. Girò per la periferia e si fermò in un posto dove poté bere un po’ d’acqua. Mentre si dissetava vide per terra un pezzetto di carne impolverato. Si guardò attorno furtiva e in lampo lo buttò giù controllando che nessuno l’avesse vista. Non era abituata a fare queste cose ma aveva una fame che sentiva i crampi allo stomaco.
E non ci pensò due volte.
Poi con calma guardinga si avviò verso il centro scansando i posti più affollati. Non le piaceva la confusione e neanche i modi bruschi che certa gente ha.
Nel momento in cui Eveline le si avvicinò la guardò all’inizio dubbiosa poi dato che non fece altro che chiederle da dove veniva e dirle che era proprio carina mentre le si sedeva accanto si tranquillizzò e torno a guardarsi intorno.
Carina io? Si domandava Zula un po’ stupita da questo originale complimento. Scrollò la testa.
Che poi invece era carina. Aveva un modo di guardare che disarmava. Un corpicino asciutto e proporzionato e sculettava bene suo malgrado. Aveva quel fare timido e seducente che conquistava ma non ne aveva mai approfittato. Visto che si ritrovava regolarmente a vivere per strada e di espedienti.
Ma in fondo le piaceva vivere così. Cosa c’era di meglio che distendersi in un prato di notte a guardare gli astri e a sognare i sogni? Con cosa avrebbe scambiato quel senso di libertà che provava nello spostarsi per la vita come un animale sereno e randagio?

Eveline la invitò a casa sua. Lì per lì Zula fu restia anche perché non è bene fidarsi degli sconosciuti. Ma poi arrivò anche la madre che fu tanto carina e insistette così tanto che alla fine si lasciò convincere e pensò che in fondo un po’ di comodità non le avrebbero fatto male.
Non sbagliava. La famiglia di Eveline possedeva una casa gigantesca. Con un parco tenuto bene e il prato all’inglese liscio come il culo il di un bambino. Pensò sorridendo nascondendo poi il viso quasi a vergognarsi.
Le piaceva gironzolare per quel parco dove il senso di pace trovava conferma nel cinguettio dei mille volatili lì intorno. Era proprio un paradiso.
E poi la sera dormiva in camera con Eveline che aveva insistito tanto anche se lei forse avrebbe preferito il patio
perché era più fresco. Selvaggia com’era.
Ma le piaceva Eveline. Aveva qualcosa che le ricordava Francesca ma più. Più. Più inglese ecco.
Di certo non le raccontava tutte le sue storie d’amore e di pianti e di sotterfugi. Anche se aveva la stessa età. Tutt’al più le raccontava che si annoiava un po’. Che le mancava Londra dove aveva gli amici veri. Che in fondo Malindi era una palla e andare a pescare con papà lo era ancora di più. E Zula inteneriva nel vederla così che la sfiorava con dolcezza e la guardava con gli occhi buoni. Poi Eveline prima di spegnere la luce le dava sempre un bacio sulla fronte che le
piaceva da morire questa cosa qua.
Al mattino gironzolava per il parco distratta dopo una bella colazione che l’aveva messa di buon umore.
Eveline nuotava in piscina e ogni tanto la chiamava urlandole vieni anche tu in acqua! Figuriamoci.
Zula odiava l’acqua. Due dei suoi fratelli ci avevano lasciato la pelle la dentro.
Poi dal cancello di casa sentì dei rumori invisibili e d’istinto andò a vedere cosa c’era.
Trovandosi Thomas davanti all’inizio fece la voce grossa alle richieste insolenti di quel maleducato.
Ma poi lui continuava a guardarla con un mezzo sorriso che alla fine si misero a parlare e gli strappò un appuntamento segreto nell’oscurità.
Thomas si allontanò con la cresta ritta pensando ecco le fanciulle! E che fanciulle!

Si innamorò di Zula al primo sguardo.
Quando poi potè appurare che non era neanche una facile si innamorò ancora di più.
Sudò sette camicie per portarsela in un fienile a consumar sospiri e peccati.
E ci rimase subito incinta. Come tutte quelle che si lasciano trasportare dalla passione e non usano precauzioni.
E poi comunque che precauzioni avrebbe dovuto usare?
Anche lei si era innamorata di Thomas dal primo momento. Gli piaceva quel fare da macho che aveva.
Che poi in fondo era un farfallone. Bastava che mostrasse i denti e lui tornava nei ranghi con la coda tra le gambe.
Quando nacquero eran tre truspolini. Due maschi e una femmina. Ai nomi ci avrebbero poi pensato casomai i parenti. Come da tradizione.
Gli cambiò la vita a Thomas che smise di andare in giro a vagabondare e a fare il galletto con qualche sgualdrina di Magengo.
Zula che era mamma e intelligente capitava spesso dalle parti di Eveline che appena la vedeva impazziva di gioia e la rimpinzava di buon mangiare.
Non le fece mai capire che aveva dei problemi e che non se la passava bene con tre figli da sfamare e un marito desaparecido. Continuava a scherzare con lei di ogni piccola sciocchezza facendo finta di nulla.

Quel giorno rientrava verso casa ed era sera che arrivava improvvisa e le rare luci sparse in giro creavano miseri corridoi di chiarore dove orientarsi.
Anche se Zula non ne aveva certo bisogno. Era abituata a passare in mezzo al buio indenne. Aveva come un sesto senso per questo.
Zula! Senti urlare dall’altra parte della strada una voce familiare che la chiamava.
Inquadrò meglio e vide Francesca che sorrideva e sbracciava stupita e felice di vederla immersa nella sua vacanza malindina a far tardi la notte con le amiche.
Zula ebbe come un sussulto e di slancio attraversò la strada senza guardarsi intorno.
Quando impattò sul paraurti di quel jeppone che arrivava a forte velocità morì all’istante anche se le sue viscere rimasero sulla strada come un macabro avvertimento un bel po’ a disgustare inutilmente.

Che cazzo abbiamo preso? Domandò uno spocchioso milanese che aveva appena finito di imprecare contro segretarie e commercialisti al cellulare senza tener di conto la strada.
Niente abbiamo tirato sotto un cane.
Rispose un altro milanese spocchioso uguale ma con uno zero meno in banca.
Ah. Meno male. Svisò di fischio il primo.
Per un attimo ho temuto che avevamo combinato un guaio.

A Zula. Il mio cane africano. Con amore e riconoscenza. 

mercoledì 1 agosto 2012

Mercanti&Clienti


(foto di: Francesca Tumbleweed Donatelli)



Premetto che sono disoccupato da eoni oramai.
Ma solo in Italia, sia chiaro. 
In giro per il mondo invece ho sempre lavorato nel mio campo, che poi è la ristorazione.
Rimetto in sesto ristoranti e cucine, ottimizzo le spese e incremento le entrate, trovo i deficit gestionali in due ore e mi faccio voler bene dallo staff. L'ho fatto e bene in tutte le parti del mondo dove ho poggiato il culo.
A parte in Italia. Qua se non sei raccomandato non conti un cazzo.
Per questo persino nelle mie zone, dove quasi nessuno sa fare un cappuccino per esempio, non ho mai trovato uno straccio di lavoro.
Sarà anche il mio carattere poco incline a leccare culi.
Che poi è lo sport preferito di noi italiani. Dei Casentinesi poi.
Ma fermiamoci qui e tiriamo innanz.

Fortuna volle che abbia, rientrato da una stagione disastrosa in Kenya dove la crisi è arrivata conseguenzialmente a quella italiana (il turismo keniota, vive del nostro turismoesoncazzi), trovato una buonanima d'amico che fa mercati e che mi ha dato una boccata d'ossigeno e lavoro.
“Sei bravino a vendere” mi complimentò un po' sarcastico dopo un mercato a Livorno dove spazzolai tutto praticamente. “Se vuoi ti do del materiale e fai da solo, perchè c'hai un caratterino!”.
Mi piace poco fare il subalterno, L'ammetto.
Ah, è uno che importa abbigliamento dall'India e dalla Thailandia.
Da vent'anni.
E c'ha fatto i soldi, meritandoli, sia chiaro.

Così assecondo e mappresto di primo mercato a Bibbiena (AR) per una tre giorni di birrifici italiani notevolissima: Birbiena, dove addobbo pezzi 100 in uno stand a modino ed il resto per terra ma per benino.
Ho prezzi buoni ma sono in para uguale.
Il portafoglio languisce lacrime da rimpolpettare.
Dovemo lavorare.
Di brivido che birra tutto rende luce bella e gioviale m'avvio in quelle ore piene di stupida, illogica paura.

Va bene invece il lavoro e il portafoglio orquindi. Va di lusso a dirla.
Prendo fiducia in me stesso tra i quali Io.
Guardo, controllo, imparo meglio le disposizioni della merce.
Inizia a piacermi e ci capisco. Cioè, capisco le cappelle fatte e ottimizzo.
Aggiungo stand e materiale.

Guardo, controllo, osservo. Portafoglio lambisce badget da sopravvivenza. Sorrido a volte di tabacco oramai perchè le sigarette costan.
Mercati partecipo altri 5 più vari che sempre di lusso vanno.
Orchè mi rilasso, e di magia imperplessa smetto di guardare e inizio a vedere di quando l'acquirente s'appasseggia sul lungo non mare e cicaleggia, prova il pezzo, parla, strap, chiede consi e compra infine e orsù che un idea s'apposta sui numeri dei cataloghi fisiognomici del blogger di cui segue.

Tu sei il numero?......:

1] La coppia cinquantenne con figlio

Temibili. Se la prole sta in carrozzina ti trovi di fronte un marito un po' stempiato che ti guarda con odio viscerale ma distaccato mentre lei che li non troverà taglia che l'adempi, ti mischia tutto lo stand senza comprare nada. Se la prole è a piede libero, invece e con ogni probabilità ti ritroverai tre vestiti per terra, uno sputo sulla camicia linda, e un mi scusi ma è meglio che lo porti via!

2] La coppia cinquantenne senza figlio (magari con lei “bona”)

Nel mio caso, Lei, è un buon target. Cioè non sempre ma di solito compra.
Di inquadratura funziona così. Lei sta tre passi davanti a lui con l'amica del cuore che di rossetto e trucco e tette un pochino fuori d'abbronzatura tutta l'ossatura si vive il parterre.
Che poi si sia a Pieve A Socana ridente 200 anime fa uguale.
All'inizio sfoglia annoiata il catalogo poi d'improvviso si illumina di immenso e ti compra un vestitino di seta che pagherà il marito all'arrivo del terzo passo dietro. Pagando preammetto con un sorriso da tip tap e un leggiadro puzzà murì.
Che tocca a me mentre marsupio il vil denaro.

3] La banda di bimbi

Per uomini ma sì meglio bimbi c'ho solo magliette M/M made in Thai.
Il resto è per le bimbe.
Ma comprano. Sopratutto i bimbi di cui sopra.
Allora, uno che c'ha 7euro più degli altri (che ne hanno 10 cadauno) se ne prova una ventina. Son di cotone, carine, la stampa e fashion e il prezzo c'è. 7 eurini.
Tentenna.
Poi cede.
E dopo un quarto d'ora arrivano gli altri 4 che gliela do a 6 cadauno con battute minimaliste ma giuste and cool che di solito mi becco pacche sulle spalle e sorrisi complici che al mattino poi vado all'anagrafe soddisfatto a farmi togliere lustri quattro dal curriculum.

4] La fricchettona carina

Chiaramente e nel mio caso è un targettone.
Sono loro le prede preferite del mio habitat vestiarico.
Con loro i pantaladino vanno come il pane. Apprezzano i sexy top di seta stile Goa, complimentano tutto finanche il mercante che sottocchio valuta forme e sinuosità. Di bredlocks tutto si riempe lo spazio e tutto provano e di sicuro comprano.
Spesso si parla poi del vago.
Ogni tanto si flerta.
Di rado si tromba.

5] La fricchettona stronza

Le odio. Visceralmente. Son sempre bruttine, grassocce e votano PD (lo so perchè chi vota PD ha l'occhio amaro).
Guardano con occhio schifato tutto perchè nel tutto non entreranno mai. Colpevolizzano inconsapevole me che una mazza centro. E si allontanano poi con i sandali Birkestock da 70 euro riferendomi a voce alta che quella gonna tipo Disugual che costa 8 euro è cara.
Andando poi a strafogarsi di tre pessimi panini alla salsiccia industriale a 6 euro cadauno.

6] Le Romene

Strano a dirsi, comprano e non rompono.
Sopratutto vestiti di seta (che vendo a 9 euro). Il fisico le aiuta, ed il mio sguardo fisso sulla generosa scollatura apprezzano. Di sguardo macho poi m'adombro quando si presenta il marito romeno a pagare grosso come il K2 e con lo sguardo deciso. Soriddazzo tutto di sorrisi ipocriti e marsupio la pesa con soddisfazione eccentrica e palla al centro.

7] La coppietta ventenne che invece sembrano 40

Sembra incredibile a dirsi ma in giro ci sono un sacco di coppie ventenni fidanzati “in casa”, per dare l'idea claro.
Ma tanti.
Li inquadro perchè lui ha il passo lemme e somatizzato lo sfavamento del 50enne. A lei invece s'illuminano gli occhi scoprendo che può ciacciare in tre stand pieni di roba “ma guarda che carino amore!”.
È lucida come un cobra.
Leggiadra svolazza nello spazio angusto ma in due minuti ha già deciso cosa si farà comprare.
Il resto è scena.
Al dunque impacchetto top 2, vestiti 2 e maglietta per lui perchè lei l'ha consigliata che ci stai da dio.
Lui paga con una grinza di dolore e sconfitto continua il suo calvario tra le bancarelle che lo attendono vampire.

8] Le amiche ubriache

Un target del cazzo. Però fai due risate, di solito.
Ti sorridono stordite ma simpatiche anche se son bruttine. Socializzano. Ti avvertono da subito che non c'hanno soldi e scroccano sigarette due ma simpaticamente. Mi chiedono sette volte da dove vengo, dimenticandolo un attimo dopo, mi offrono un sorso della loro diciottesima pinta di birra e poi spariscono senza lasciare traccia una nell'inconscio collettivo.

9] Quella/o che ti conosceva da giovani

Se ora vivi in una zona e fai mercati in quella zona ma tu in quella zona non ci bazzicavi più da 15anni, questa categoria è molto gettonata.
Faccio delle figure di merda incredibili.
Dato che la mia memoria fa un po' come cazzo gli pare.
E così mi ritrovo a sorridere quasi estasiato davanti ad uno che non so minimamente chi cazzo sia ma lui di me sa cose di allora quindi assecondo prendendo come ami da pesca ogni imboccata che lui/lei mi da su quel tal episodio. Sospiro sui tempi andati, accorcio la conversazione. Ti trovo bene, allora ci vediamo, non comprano mai un cazzo, e dopo magari con gli amici parleranno pure male di te.

10] Quella/o con il cane

Amo gli animali più di me.
Ma odio i loro padroni.
Spiega il mercante.
Passa una grossa come il Molise e un chiuaua nano al guinzaglio che mi preoccupo tanto per lui che mò lo schiaccia cazzo.
Passa uno tatuato come un Maori con Labrador che è un amore che lo tira via duro di guinzaglio sempre da tutto dove annusa per forza.
E tira troppo forte quel cazzo di guinzaglio che non mi piace.
Che il labrador un attimo mi guarda ed io metto su occhi tristi.
Mi fermo qui sennò piagno ma vorrei dirvi una cosa a voi padroncini e padroncine che magari siete di Amnesty e della LAV e del'EMPA e di chissà che altro:
Portare i cani ai mercatini o ai concerti, E' PROPRIO DA STRONZI!

11] Lo sfigato

Mi dispiace maschietti, è solo un target nostro.
Lo veddo.
Si aggira tra le bancarelle come un agente della STASI.
Soffia come un toro ma non lo vedi, lo senti.
Ogni occhio è concentrato su di lui ello pensa che ogni occhio invece per niente caga.
Compra gli incensi però quelli buoni.
Le saponette qualche volta ma da me non comprano mai un cazzo.
Scivolano e ti guardano appollaiati su un attimo di tenebra interiore che prima sorridi imbarazzato, poi sorridi a mezzo e appena spariscono, ti tocchi abbondantemente le palle.

12] E poi ci sarei io..

Potrei andare avanti ancora ma alla fine poi annoia.
Perciò la finisco su come mi vedo io da lì.
(Come mi vedete voi o nuove categorie, casomai, potete aggiungerle nei commenti, sono aperti.)
Premetto che la meglio parte di me la lascio quasi sempre a casa.
Io sono timido, introspettivo, insicuro e molto sensibile.
Quindi niente a che vedere con quella faccia di culo che vi ritrovate davanti maschera arlecchina che tutto dice e tutto fa.
È una parte di me che tengo di conto per le occasioni speciali.
Quelle belle.
Quelle di quando sei ottimista nei confronti della vita.
Di quando ti senti dentro una qualche tribù. Come se ad un certo punto comunicassi con gli altri non per sintassi ma per spazi intercalati.
Come che non c'hai manco bisogno di fumare canne.
Come quando non ti senti mai in panne.

Poi lo so, alla fine si smonta sempre tutto.
Ed è sotto un cazzo di pino che ti apposti e ti ricordi che il mondo puoi farlo bello quanto cazzo ti pare ma solo per un paio di sere.
Poi torna ad essere un luogo davvero brutto.





lunedì 9 luglio 2012

Bigio






Bigio l'ho conosciuto tanti anni fa.
Lavoravo a Firenze come dj a tempo pieno e cameriere a ripieno.
Di li a poco sarebbe poi arrivata la chiamata per l'Africa e dopo ci siamo sempre visti a pizzicchi e bocconi. Però SEMPRE quando ero qua.
Erano altri tempi (parlo del 2001/2). Firenze viveva un'eccitazione musicale, culturale, sociale che poi in un paio d'anni sarebbe stata smarrita definitivamente e per sempre.
La prima volta che ci siamo incontrati viveva in una bella casa nel centro centro di Firenze in mezzo a quadri, computer, idee, follie.
Gli artisti e i geni vivono così.
Fareste bene a saperlo voi cassintegrati, disoccupati, mantenuti e animali. 
Anche voi patetiche persone normali.

Tra noi c'era un feeling strano, eravamo come un'ossimoro.
Eravamo pappa e ciccia senza darlo a intendere a quasi nessuno.
Lui sapeva chi ero io ed io mi immaginavo chi era lui.
Il gioco era questo. E andava.

Bigio è sempre stato uno di poche parole e di tanta pacata energia.
Placido e determinato nelle sue convinzioni.
Nelle sue voglie, nelle sue assuefazioni.
Bigio era presenza ad arte, senza nessuna mistificazione, arte pura.
Era uno che ti spiegava i suoi cazzi e le sue necessità senza stressare.
Bigio era uno che ci sapeva fare.
Un Basquiat in bianco e nero.
Credetemi se lo scrivo, per davvero.

Quando mi vedeva di rientri (perchè da lui sempre passavo ad ogni rientro), mi guardava con quella faccia un po' così, mi strisciava il viso al viso e poi si dormiva accanto nel divano.
Io cotto come una pina dal rientro, lui paziente, osservatore, a volte faccialeccante. 
Come un furbo brigante.

Poi al mattino che l'ora s'aggiorna dell'aurora, mi svegliava e si faceva colazione insieme. Lui tonno o salmone, a volte il pollo, io un semplice caffè. Poi tornavo nel divano.
Lui non so dove.

Io poi sparivo e tornavo chissà quando e da chissà dove.
Ma lui lo ritrovavo sempre lì, uguale come sempre, placido, concentrato, quasi mistico, come un Budda ad ore.
Ma sempre di me si ricordava ogni singola parola, ogni singolo gesto che dura un minuto ma vale una silenziosa amicizia che fa onore.
Mai una discussione tra di noi, mai scazzi.
Come facciamo invece noi semplici esseri umani, noi mezze seghe che frulliamo nella vita senza capire che la vita è solo un gioco di silenzi e piccoli spazi.
Genio dell'esistenza che si sublimava sempre o solo a tratti.
Come noi piccoli onnivori non sapremo fare mai.
Perchè lo sanno fare solo i più grandi dei gatti.

Post
Bigio se n'è andato stamani.
Un abbraccio a Miki, alla sua famiglia e alla Sara.
E adesso e per un attimo, tutti insieme, battiamogli le mani.