venerdì 30 dicembre 2011

Natale, moglie mia non ti conosco



È bello il Natale visto da qua.
È così bello che non ci fai neanche caso da quanto è bello.
Intanto qui oggi entra l'estate. Indi fa un caldo che abbaia. Distonico un bel po' con l'immaginario Natale=neve. E francamente, a parte il fatto che è festività e quindi non si lavora, a questi qua del Natale, che poi equivale a shopping selvaggio, depressioni più o meno coatte e poco più -non avendo un becco di un quattrino e poca voglia di deprimere- importa sega.
Diciamolo, vedere un babbo natale imbacuccato in quei vestiti spessi e ridicoli e con quella barba che sembra una termocoperta nella vetrina di chicchessia non solo è un po' improbabile, ma finisce per metterti persino a disagio. Poromo, viene da pensare. Chissà che caldo che patisce!
All'equatore perdi il senso e il peso di cristianità della cosa. Che son chilometri di senso e tonnellate di cose. Dimentichi i retorici stasera cosa mi metto che non c'ho niente davanti a guardaroba infiniti per andare poi a messa a far finta d'impressionar del Vangelo.
Perdi il sulfureo richiamo dei jungles -almeno che non sei così scemo da star a cercare televisioni persino qua- che mirano a far abdicare le tue beghe emozionali e i tuoi sgoccioli di euro.
Ti sbarazzi in un niente di tutti quei Buone Feste e falsi auguri che a rotazione ci ricicliamo con abbozzi di sorrisi e magoni allo stomaco.
Puoi persino evitare il Pranzo. 'Nsate! (qua si mira alla cena, a pranzo fa troppo caldo per i nostri palati e sterni.).

Così, giusto per scrivere qualcosa e perchè penso che ci sia qualcosa da capire anche qui, vi racconterò come ho passato la vigilia a Malindi, tecnicamente il giorno clou di tutto l'ambaradan.
Premetto. Di solito in tutti questi anni passati qua ho vissuto queste pseudo-feste come giorni normalissimi da lasciar defluire e niente più. Per questo quando un italiano che vive qua fresco di appartamento a Malindi, appartamento a Mombasa, tre moto, auto e conti fluidi mi ha invitato a cena l'ho presa così così.
Ci saranno due bimbe fresche da Mombasa, sono andato io a sceglierle”, aggiunge al telefono convinto di corrompere tutto tondo i miei dubbi ed i miei ma strascicati.
Ripremetto. Stiamo parlando di un italiano sulla sessantina del nord faraone. Pieno di gruzzolo. Moglie in Italia con figlia ottenne. Lui qua a godersi le tasse evase, presumo. Malato di gnocca africana. Possibilmente non sopra i vent'anni. Uno di quelli che non spiccica una parola di inglese, che dice negri ogni tre minuti, ed è convinto di essere pure nel giusto.
Cmq, mi arrendo e accetto l'invito. E dovrò pure cucinare, ziocan.

L'appartamento è sul mare. In un complesso pieno di appartamenti tutti uguali. Le terrazze (molto usate all'equatore, chiaramente), si dirimpettano così vicine che vedi il companatico nei piatti dei tuo simili. Inutili le tende a tranciare quel senso di socialità trasformano il vento dell'oceano in sterili vele che sventolano come bandiere sconfitte.
140 metri quadrati: leaving room da sufficienza, terrazza di cui sopra, due camere con bagno, una cucinetta etta etta, piscina in comune, mare così così a due passi.
Il tutto per soli (?) 140.000 euro. Più 80 al mese di condomino. Più dopo scoprirai (come anche lui ha confessato) che il terreno non è il tuo e dopo 99 anni dovrai ripagare da capo tutta la trafila. Ma questo lo scoprirai a contratto stipulato, con calma e dispiacere.
Anche così noi italiani spezziamo le reni al Mondo intero, cari miei.
Andiamo avanti.

Arrivano le bimbe, finalmente.
Quella sua “ufficiale” ha 20 anni, l'altra 22.
Sorridendo mi ammicco pensando che mi tocca la vecchia.
Classiche gnocchette africane. Fisici di marmo e alte due metri. Accondiscendenti fino alla nausea ma palesemente maschera di gazzella su sguardi di tigre. Vestiti al minimo e tacchi 12. Un po' d'italiano buttato lì: “come stare belo?”, “tu piace me?”, stronzate così insomma, sguardi di valutazione al capitale immobiliare del pirla, e stupenza nello scoprire che parlo inglese e swahili, si può comunicare senza sembrare dei cerebrolesi, a volte.

Sessantenne già sgarella e assapora complimentando il mio sugo peperoni, zucchine grigliate e pomodorini freschi; poi, (in)spiegabilmente, chiede alle due bimbe di mettersi in costume da bagno, che lui porge dal suo carnet, costumi mini mini, veddo. Mi vergogno come un serial killer e scusazzo le bimbe in swahili, inglese, strogoto e telepatia rosso in viso tutto non per il caldo ma.
Rifletto.
Sono gli uomini o solo noi italiani in particolare ad avere ste fisime con le donne? (Io osservo. Almeno qua, siamo solo noi italiani. I tedeschi e gli altri, vanno per anagrafi più probabili e situazione molto meno grossolane).
Perchè più si invecchia e più le vogliamo giovani? (in questo caso c'è uno sbalzo di 40anni, per dire...). Non credo sia soltanto il brutto dire del “ciccia fresca”, c'è ben altro secondo me, poi chiedo al mio psichiatra (il fatto che sia lì dovrebbe dimostrare che anch'io, coscio o inconscio o furbetto, i miei “giochetti mentali da maschio in carriera” ce li ho e belli pregni. Quindi ammettere, passi lunghi e pedalare).

Mi chiamo fuori comunque da questo squallido gioco nel tempo di un battuto. Sarò cuoco, commensale educato e paziente, ma io in questa storia “non centro niente”. Niente nere, riconfermo convintissimo il giuramento di mesi fa.
Tra le righe del mio dire il messaggio arriva alle bimbe che recepiscono e rispettano. Lui invece viaggia di bicchieri di vino bianco, sterno italico in bella evidenza, capelli tinti di marrone testa di moro e mani che van tra le cosce delle gazzelle come mamba famelici. Cerca persino convinto di averla la mia complicità su battutacce da caserma. Razzistesessisteincredibilmente. Mette un po' in imbarazzo. Sono proprio cambiato cmq, 5 anni fa, non ci facevo così caso a tutte queste cose.

Finiamo la cena tra complimenti alla rinfusa e gomiti alzati e almeno il caffè lo faccio io.
Le bimbe si ritirano per cambiare i costumi da bagno in costumi da scena.
Si va allo Starts & Gaters, un disco-pub-ritrovo africano che strizza (parecchio) l'occhio al turista.
L'altra” si appiccica a me. Non perchè abbagliata dal mio charme claro, ma perchè qualcuno deve pagare l'entrata, una birretta e poi chissà se cambio idea, e quel qualcuno sono stato estratto io. (Si parla di qualche euro tra entrata e birra, niente de chè, cmq).
È pieno ma non pienissimo. Per essere poi altissima stagione, verrebbe da dire “mezzo vuoto”.
Al bancone cerco riparo tra bariste straconosciute che rassicurano tutto intorno giovani italiani/tedeschi/cinesi guardano dove il perizoma duole. Sessantenne abbozza uno sceike anni 60 con la stanga che lo sovrasta di bellezza e stile. Ok, per oggi può bastare.
Pago la birretta e sparisco. Scusate ma sono stanco. Vado a letto. Non ho mica vent'anni io! Aggiungo alle 22enne che ride come da protocollo bacetto, biz perso e allora vai a letto.
Ma lui non recepisce bene il mio perchè e inizia a sbandare la dialettica. Intona una tiritera alcolico/impastata a quattrocchi a proposito della spartizione. Vorrebbe addirittura che prendessi la bimba sulle ali del mio portafoglio. Forse il passo più lungo del viagra che ha fatto inizia a dare il fiatone.
Rimango nelle mie posizioni e saluto. Finendo un'amicizia appena sbocciata, presumo.

Ma invece, macchè!
È già domani mattina e mi telefona presto esto. Tra urla in sottofondo mi spiega in mezzo a congiuntivi impazziti e fiatone al cardiopalma che le bimbe fanno storie ma il suo inglese non permette nessun genere di comunicazione e la sua baldanza da felino in calore si sta sciogliendo davanti all'oggettività che traduce “idillio” in “Illusione” e un “battibecco autentico” con la “realtà”.
Stanno battendo cassa. Esigono l'obolo.
Eccoci al dunque.
Anche perchè lui invece pensava che ospitarle e offrirle da mangiare, due birre, scoparle e darle delle negre bastasse e c'era pure il resto. Ste 'ngrate!
Mi passa la 20enne che mi spiega le ragioni. Che son sempre le stesse:
Mi ha scopato tutta la notte. Voglio 5mila scellini. Il resto è complimentary”.
Mi ripassa ello che spiego l'antifona invano e mi ordina un perentorio “vieni qui tu”, come fosse il mio capo, che tocca corde non congeniali per una fattiva collaborazione.
Dovrei capire che è la paura a metterlo nella condizione di aggredire per difendersi e che se intervenissi forse tutto si placherebbe. Dico forse. Ma abito lontanissimo da lui. Poi dovrò vedere un film visto e rivisto che non mi interessa minimamente. Poi dovrei chiedermi troppe volte perchè sono qui. E poi, insomma....e poi oramai ho deciso!
Lascio perdere amicizia e buon gusto e stacco il telefono in faccia a chichessia.
Sono d'accordo che è sempre bello fare esperienze, ma di fare il pappone adesso non necessito esperienza. 'Rciò.

Non so come sia andata a finire. Non s'è fatto risentire.
Avrà pagato, di sicuro. Finisce sempre così x i “Rocco Siffredi tricolore”.
Chissà che cosa si credono poi alla fine. I soldi Tutto corrompono ma Niente comprano.
Perchè non riusciamo mai a capire veramente questo concetto qua?
Perchè in nome del sesso pregiudichiamo sempre tutto e dopo ci sentiamo più soli di prima?
Perchè preferiamo sforzarci di fare i giovanotti un paio di giorni ed abbiamo paura di essere noi stessi per tutta la vita? Ma sopratutto,perchè ambiamo ad essere infelici?
Mi avrà pure depennato dalla lista dei cucadores ed avrò perso un “nuovo” amico, pazienza.
Mi rimane da confermare un mio vecchio adagio: se sei in giro per il Mondo e vuoi stare tranquillo e dignitoso, evita accuratamente gli italiani o parsimoniare i tempi di compagnia.
È brutto dirlo ma alla fine è davvero così: lo stereotipo italiano=cafone, fanfarone, maleducato di malamaniera, tachionizzato dal berlusconismo non solo è vivo, ma purtroppo e per davvero combatte in mezzo a noi. E ci fa pure vedere i sorci verdi.








mercoledì 21 dicembre 2011

Dellamore



L'amore l'ho conosciuto l'altra mattina in zona Baobab. Ma non saprei dire l'ora precisa.
Ridete ridete, ma parlo serio come un pregiudicato.
Proprio in un barretto del lungomare dove puoi aggiudicarti a prezzi umani birre fredde e vedere l'oceano indiano come a toccarlo con la mano e illuderti di guardare il Mondo come visto da lontano. Una voba che se non la vedi non ci cvedi.
Un amore così istantivo che ci sareste cascati anche voi, care le mie zucche vuote.
Un amore che m'ha preso lo stomaco, il cuore, un po' di pancreas e l'augello tutto.
Un amore che non s'era mai visto in giro prima. Dicon l'augello prima di tutto.

(No ora apparte gli scherzi. Faccio il serio. Oh. Ma io sin dall'inizio l'ho sentito davvero che era “Lei”, da subito. Tutto l'apparato olistico mi si è aperto di magia. Ho visto le lucine e i paperini. Sono dimagrito dieci chili in due ore e guardavo come un ebete qualunque le stelle stellate. Un safari nel subconscio di gelato a palettate.
Poi quando mi ha detto che veniva da Oxford mi sono davvero innamorato come un baccalà.
Perchè di quelle di Oxford ci si innamora a prescindere. Chiedete in giro.
Comunque).

Lei bella come una medusa descritta da Barricco. Che poèsio plebeggiando: piatto ricco mi ci ficco. Bionda colorata di colpi di sole che all'equatore da del celebrale messo male. Magra un po' calata, vita sedentaria di giorno/di notte vita marmellata. Vestitino afro-fashion che da onore alle formette sinuosette che s'abbelliscono di seni piccoli ma i capezzoli gagliardi le chiappe ben calate -sempre rimmel nelle sguardo- sguardo sexy che maschera sexy occhiate. Borsa firmata nervosa sigaretta che di menta appesta tutto. Lei così bella che paro proprio brutto ma bello a posteriori.
Per favore, giudicatemi soltanto, se siete ben di fuori.
Ordunque anche in falsetto arrossisco il mio inglese straparlo roba e triparlo quantunquemente di un approccio senza aver pretese che invece si materializza sorriso di partenza, poi le che cambia sedia e abbozza riverenza.

Di mano che sensuale l'ambisce i suoi i canali, di giochi di parole pari solo agli ospedali.
Di sguardi che imbarazzano lei sfiora la mia mano.
C'è un vento menestrello e penso: chissà se mi da l'ano.
Poi improvvistamente mi chiede in un inglese inglesizzato se sono anche sposato. Amore ma ti sarà possibile che tanto io abbia osato. Ti aspetto da una vita. Dal giorno del Creato.
Abbocca come un panda e striscia la sua gamba nel mezzo ai miei calzoni, proprio dove il gps indica che s'addensan li coglioni. Orchè divento Zanza, divento un gigolò. La sdraio giù di panza, che aggiotto il dietro e il front. Vedreste poi che bello se mi tiene tra le grembi pari fossi il suo bambino. Da none nove e mezzo invece quando si esibisce di pompino.

Sudati orsì per tempo famo tutto in tempi larghi di parole sussurrate che prometton baggianate, di contorni e posizioni da far impallidir anche il Vossia, poi l'ultima posizione -la più porca- detta quella del Messia.
O amore che sussurro di futuri futuribili/Noi due x sempre insieme e mai indivisibili.
(E qui si capisce ortanto che i Ricchi & Poveri mi fanno una ricca sega. NDA)

(Aaah il sesso ragazzi. Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, sennò ci s'amazzerebbe dalle seghe, pensa un po'. Il sesso le prime volte è bello sempre. Anche se vai con Wanna Marchi. Il sesso libera la mente. Ringiovanisce la pelle. Fa giorno dorato qualsiasi giorno di merda. E se sono quattro mesi che non inzuppi il biscotto, crea il cosiddetto alterco quantistico conosciuto con il nome di “svuotamento di coglioni” che da un senso alla fisica e benessere al fisico.
Il sesso è bello se è dolce, un po' violento e persino a badilate. Il sesso trasforma in amore qualsiasi parola sporcacciona. Il sesso è tutto l'amore che vorresti dare ma non ci riesci.
Il sesso fa bene agli uomini, le donne, ai prelati ed anche ai pesci).

S'abbuia il terzo giorno. No amore tutto intorno. Sparisce l'energia, scompare la magia. Rimangono parole, parole già rabbiose, sms a ripieno di inglese rancorose. Stupenzo e guardo il cielo, le stelle, i satelliti e le costellazioni. M'appare la Madonna nei panni della mia ex ed è persino nuda con le tette ben di fuori, concludo che l'amore destabilia e rompe pure lì coglioni.
Saluto l'inglesina. Ripongo nella borsa condom, frusta e vasellina. Mi avvio sul marciapiede. L'amore è già sparito, per fortuna è la passione che non cede.
E mentre son lì che vado abbarricato, ricordo in mezzo a pensieri un poco ostili, che ci sono domande/risposte che nascono x essere pesate come perle e invece noi le rottamiamo a cani e porci.
Tipo quella che dice: Amare/Vuol dire soltanto/Poco dolci.

domenica 11 dicembre 2011

Stecchini




Certe volte per fare la nostra “porca figura” ci arrampichiamo su specchi di sapone, intrecciamo concetti come efficaci cestini estetici ma improbabili, imboniamo con congetture spesso rubacchiate un po' in giro come un Pi Greco qualunque le platee e ci chiudiamo in silenzi studiati e “pieni di parole” e godiamo con merito narciso quando qualcuno complimenta la farina del nostro sacco.
Se nostro sacco è.
Io per esempio, sopratutto se si parla di Africa e in special modo del Kenya, ho notato che tendo a fare il saputello minimalista. Butto lì un bel parolone tra poesia e cinismo un po' smielato, faccio il vago finto modesto, mi giovo di un'auto celebrazione coercitiva e se vedo che l'interlocutore non recepisce, tendo pure a fare il permaloso. Ed è allora che di insensibilità sgambetto da dietro a piè pari.
Ma non sempre. Invero.

Fa quindi curioso e notizia da post che dopo viaggi, un libro, report, post in giro per il Kenya, una semplice battuta sugli STECCHINI ha fatto centro più di tanto lavoro sudato. O forse di tanto lavoro sudato questa considerazione ne è summa e conio. Chissà.
Pensa te. Gli stecchini. Ed io chissà che me pensavo!

Riepisodio senza censure una.
Siamo a mangiare un po' di gnama choma -(che sarebbe il nome della carne per i carnivorissimi kenioti)- con tre amiche vere e un ragazzo fresco da Nairobi cugino di una di loro che per i modi, l'educazione e l'acume mi impressiona per davvero.
Manzo, capretto, pollo, kaciumbari (insalata di pomodoro, cipolla e limone), sima (la polenta bianca locale, accompagna tutto), e un mare di chips affogate nel kechup.
Si sparlicchia del più e di tanto tra birre fredde che van come il pane, sigarette a tsunami e magna te che magno io a produzione industriale. Sorrisi sberleffi ovunque e quantanque. L'odore di brace che esteso s'espande. Scarpetta polenta finisce in goduria. Adesso la frutta: mango, papaya e qualche fetta d'anguria.
Si approprinquia così la fine della cena tra sparecchi sbandati, camerieri frittellosi,giri di birre a ripieno, sparlicchiate più mirate e definite, e stecchini che puliscono i denti di pezzetti di carne che INEVITABILMENTE ti si infilzano tra i detti e le gengi (la carne locale è un po', diciamo, duretta. Fino allo “strappo il pezzo” versione preistoria. Quindi un po' di roba là in mezzo ci rimane a forza).

Beato ravanello tra canini e molari che inizio come per magia a vedere.
E vedo con che ritualità usano lo stecchino. Con che gestualità fisiognomica. Vedo ed apprezzo la classe che oggettivia a bestia. La calma studiata, quasi meditativa, nel controllare il pezzo tolto con fare chirurgo da quei denti bianchissimi che inquadrano visi al carboncino.
E poi che ganzo. Se lo infilano tra i crespi capelli. A mò di cimelio. Di vezzo. in bella vista come una corona.
Ottenendo così due effetti collateranti:
il primo, il messaggio alla plebe è chiaro: strunz! io ho mangiato!
Il secondo: tutti ti guardano con più rispetto, se non invidia. E rimangono strunz.

Spiattello queste osservazioni anpassan sul tavolo dei pettegolezzi che tutti s'assilenziano e mi guardano stupenzi. Al che stupenzo anch'io ma vago e sbirulino.
"Queste cose un bianco non le dovrebbe notare."
Mi riprende invece di complimentare amica 2.
"Nel senso che è un osservazione fine. Hai ragione. Ma mette un po' a disagio perchè voi di solito non le vedete queste piccolezze."
Si riprende sul fil di educanza amica 1.
Cambia qualcosa nell'energia del tavolo fiorito di birre vuote che di magia imperplessa si riempiono sgualdrine. C'è un senso d'imbarazzo. Un disagio quasi sottile che sfiori come un niente.
Durerà tutta la sera. L'indomani s'acquieterà nel bagaglio della memoria lasciando una traccia onirica sul tessuto dell'inconscio collettivo che sa di barzelletta.
Guadagnerà due etti anche la mia reputazione, così potrò fare a meno di andare ad abbronzarmi per darmi un tono e rimanere cappuccino senza imbarazzi. E tutto farà finta di essere come prima.

Porca troia per davvero!
E tutto questo per gli stecchini.
C'ho scritto sopra chilometri di parole appassionate e appassite sull'Africa e poi mi prendo un bel 10 e un po' di merda per sta roba qua? M'addeludo tanto tanto ma circostanzio di sorriso olistico.
Mha. Saremo strani noi. Ma anche questi africani.
Credi a me che te lo dico io.
Mica scherzano mica.


lunedì 5 dicembre 2011

Della Lentezza



Ho affittato una moto.
Lo so. Ne hanno parlato al Tg della 7 e da Fazio e su Repubblica c'è stata una dotta diatriba sulla questione tra Saviano e Mughini che mi onora.
Ma non è di questo che volevo parlare.
Intanto erano almeno 25 anni che non guidavo una moto.
E infatti appena l'ho presa mi son detto: facciamoci un giro per strade secondarie prima, che ci prendiamo la mano.
Dimenticandomi alcune fondamentali accortezze tra le quali:
  1. le strade secondarie di Malindi sono tutte sterrate, piene di buche e sassi.
  2. C'è più traffico che su Lamu Road (che sarebbe la Main Street asfaltata e turistica).
  3. e decisivo, piove da giorni e ci sono fango e pozze di proporzioni bibliche.
Infatti sono caduto dentro una pozza dopo 5 minuti. M'è partita davanti e mi sono ritrovato immottato fino al busc del cul. Ma senza prognosi mediche fastidiose e piene di paroloni.
Per la cronaca.
E manco mi sono dato per vinto.
Ho tirato fuori il Vale che soddiace entro ognuno di noi e sono ancora qua a scrivervela.

Ieri, per esempio, mi sono fatto tutta la zona di Shella e Baobab (che sarebbe il lungo mare). Ho attraversato tutta la Casuarina fino alla capatina alle spiagge del Marin Park (che è fuori town un bel po'), sono arrivato fino alle macerie di Maweni e ho sfiorato di gomito Kisumundogo senza degnarlo di nota.
Praticamente ho girato tutta Malindi. In un paio d'ore. Quando a piedi (ed io cammino molto, sia chiaro), ci impiego due giorni.
Ma non è neanche di questo che volevo parlare.

Quello di cui volevo parlare è una conferma lucida come mentadent al mio vecchio adagio:
guardare non è uguale a vedere.

Provo a Spiegarmi.
Passata in due birre l'euforia del ritrovarmi da una parte all'altra della città in pochi minuti, mi sono accorto da subito che non ho visto un bel niente ma solo guardato un po' di tutto male, di sguincio e di straforo. Senza ricordare quasi nulla e quel poco sfarloccato e sbugiardabile in tempi brevi e netti.
Una foto sgualcita della bui bui che ammicca da sotto il burqa. Il flash del bambino con il secchio di uova sode. La polaroid del duka che vende marunghi. La mama che.
Ma quando camminavo e incontravo queste squarci di realtà li vedevo bene. Avevo tempo per capire se quella bui bui fosse sinuosa vergine o sinuosa zoccola. Che c'è poca differenza ma un pochetto sì. Se le interessavo o meno (se si girano due volte a guardarti è come dire: scopami).
Se quel bambino era della tribù Ghiriama o Luo. Se insieme all'uovo ti dava anche il sale e il pili pili. Se era contento o sfavato. Se il tipo dei marunghi era un assiduo drogatello o un bizman. Se aveva giro e quindi qualità. Vende pure acqua e sode?
Insomma i particolari. Quelli che SONO poi le cose che ci passano sotto il naso. Il contributo essenziale per creare un INSIEME e quindi del FARCI UN'IDEA.
Ecco. Farsi un'idea.
Con la moto (immaginatevi quindi con l'automobile...)ti fai un'idea falsata, frammentaria e quindi discutibile a priori.
Ma va anche detto che quando scendi dalla suddetta, almeno qua, tutto riassume i tempi lenti a me tanto cari.
Pensateci.
Se puoi vivere con tempi lenti, la tua giornata sarà piena di Tutto e quel tutto lo realizzerai con Niente. Cioè, sarà di Niente che riempirai quelle ore. Ma sarà un niente usufruibile, pensante, oserei quantistico. E sopratutto, un Niente a costo zero. Perfetto no?
Il capire se quel dohw è grande o medio, datato o di pacca, immaginare se ha solcato onde ambiziose o risacche scontate, occuperà del tempo, pensieri, neuroni.
E non costerà una cippa. Per esempio.
Quasi tutto quello che ci occupa la giornata media invece, almeno a noi occidentali, ha un costo: la benza, il ticket, la pinta, l'aperitivo, il week-end, le siga, il regalino per la bimba...

Così – e qui volevo arrivare- noi accettiamo uno stile di vita che ci impone di correre sempre, di spendere 20 per provare a trovare un lavoro che ci porterà 10, di sfiorarci non senza vederci, ma senza nemmeno guardarci, e se questo succede, di farlo in cagnesco e sfiduciati.
Sfrecciamo nelle città e nei paesi con i pensieri prigionieri di brutti pensieri compulsivi e manco ce ne accorgiamo. Ci rassegniamo ad una vita imposta da altri, che poi spesso sono quelli che “ci voglio più bene”.
Insomma, se ci va di lusso, viviamo una vita che neanche più sappiamo se è la nostra.
Ma continuiamo a correre. A essere frenetici. Ad arrabbiarci tra di noi per un parcheggio e a sentirci un po' a disagio se entriamo in un bar troppo di lusso. A fare i conti con i portafogli vuoti ma pronti a spendere tutto per un cazzo di I-Phone ultimo modello per far poi sapere agli amici di Facebook che “tizio/a si trova qua” (ma avete mai pensato che forse alla gente “non gliene frega un cazzo” di dove vi trovate?). Sbaglio?
Sia chiaro che io son messo peggio di chi legge a prescindere, non sermonium esto est. Ma le considerazioni non mi sembrano così “buttate là per fare il blogger”. Sono sincero, sbaglierò forse, ma così la sento e così la dico.

Quindi/comunque la moto la tengo per altri 15 giorni, poi la rendo indietro.
Preferisco camminare. Guardare il cielo. I disegni delle nuvole. L'odore del vento. Salutarmi con gli altri viandanti. Assaporare bene il sapore dello smog che respiro. Insomma, vivere con lentezza.

Non so se mi son fatto capire o se meglio ho dato un imput per elaborare “certi pensieri”.
Ma spero che capirete i miei deliri e ne giustificherete i limiti e lo stile.
In fondo una scusante ce l'ho: sono così impegnato a provare a vivere con lentezza quasi gratis, che ci sto prendendo sempre più gusto. E questo porta via un sacco di tempo e anche voglia di scrivere, per non dire capirsi.
Per fare questo in fondo basta non guardarsi ma vedersi.