mercoledì 26 dicembre 2018

La Straordinaria Vita Di Un Coglione Qualunque #3





capitolo tre

"La disillusione della scuola, la magia del sapere 
e l'anarchia al potere"

La mia carriera scolastica, breve ma incisiva, ha conosciuto vette e picchiate che solo la bulle du Mississipi del 1720 che fu il primo disastro finanziario di quella che poi sarebbe diventata La Borsa, lo sgarro della CIA quando l'11 settembre autorizzò, facendoselo poi scappare di mano in un attimo, quel disastro cinematografico delle Torri e l'eliminazione dai Mondiali russi della Nazionale hanno saputo superare in grafici disastrosi lasciando persino traccie più incise del sottoscritto.
Come il canovaccio della mia vita ad oggi sono partito benissimo ed entusiasta eccellendo sulla plebe mia pari da subito, ho sintonizzato una pax sociale che accontentava tutti, o gliel'ho data a credere, e quando quelli della mia cerchia oramai erano persuasi che sarei diventato qualcuno e il volgo annuiva convinto, ho mandato tutto a puttane nei canonici tre mesi a me molto congeniali come tempistica e effetti collaterali.
In toto ho frequentato, con gloria, pagelle fluorescenti e, in tutti i sensi, guerre di classe:
-Elementari
-Scuole medie
-Istituto di ragioneria (un anno)
-E poi diritto in fabbrica

Ma partiamo dall'inizio e chiariamo subito un punto.
Ai miei tempi le scuole erano un'altra cosa rispetto ad oggi.
Oggi uno se vuole va a scuola, spaccia nei bagni e nella ricreazione, spinella senza un domani, se c'è tempo fa sesso con la sbarba dai capelli turchini e quando rientra in classe da due scappellotti al prof e posta il video sui social.
Nel '70 c'erano delle gerarchie un attimino più rigide.
L'insegnante era un'Istituzione a tutti gli effetti, anche se capitava, eccome!, di parlare di cinici umanoidi senza dignità e presidi in odor di pedofilia, ma un bidello qualunque valeva un appuntato dei caramba anche se diverse miglia sotto il farmacista. I compagni di scuola più grandi potevano tranquillamente abusare di bullismo e maschilismo a piene mani nell'impunità più totale questo è vero, anche se poi tutto era bollato come in buonafede o comunque ragazzate, e quindi l'aspetto pedagogico ed i protocolli sociali erano, visti con gli occhi digitali di oggi, obsoleti, patetici, retorici e dannatamente pericolosi per la salute dell'alunno in vena di Sapere ma senza santi in Paradiso ne tessera di Partito. Ne consegue che se avevi un minimo di senso esegetico e un po' d'amor proprio uscivi da lì con l'idea che fosse tutta una merda.

Poi uno arriva al giorno d'oggi e scopre che la scuola fa più schifo di allora, che i prof fanno per lo più cagare come allora e chi ci prova ad essere migliore lo fottono, che gli alunni sono stronzi poco più di ieri e i genitori li giustificano pure, e che l'Homo Sapiens medio del prossimo millennio sarà un ignorante di proporzioni bibliche, vivrà con il cervello infilato dentro uno schermo da due pollici in un mondo digitale di cui non conosce, sicuro del contrario, nulla ma proprio nulla, e tutti vivranno con la sensazione che i suggerimenti di Google e i post di Facebook siano il terzo segreto di Fatuma.
Fino alla catastrofe, chiaro.

Altra questione.
Malgrado i tempi economici di questa splendida era siano cambiati condizionando le scelte arbitrarie più banali, c'è qualcosa che non torna.
Per esempio, io vivevo in un paesello di tremila anime dove c'erano tre sezioni sia alle elementari che alle medie tutte belle rimpinzate di alunni.
Sarà quindi una banalizzazione forse, ma a differenza di oggi, a quei tempi, del benedetto accoppiamento e tutte le sue implicazioni riguardanti inutilmente amore, onore, coppia e matrimonio se ne chiacchierava poco e sottovoce ma si praticava di più.
E anche se quell'accoppiamento era sempre contestualizzato nell'innaturalezza della monogamia, tutto funzionava perché unanimemente accettato come condizione naturale.
Fuori dai quei recinti tutto diventava, per la disperazione dei più e per la gioia di alcuni, esplicito peccato.
Nell'epoca attuale, quell'evoluzione lì, si è arenata sul concept coppia e nel parlare sempre di consapevolezza di pariglia e erotismo correlato da sopra e da sotto, di disinibizione e tabù, delle nuove frontiere di orgasmi vaginali e perianali, della consapevolezza del corpo e i benefici del sexy toy, delle coppie aperte, quelle timide e quelle spalancate, della patetica e molto discutibile effige del meetoo, del farlo etero, gay, bisex, sadomaso soft o -rivendicandone poi persino la privacy senza vergogna come una zittella di mezza età- con qualche fascista potente di turno come la compagna Luxuria, che è diventata niente di più -e a spese nostre- la Orfini dei transgender.

Ma quando si arriva al dunque, tutti/e pretendono quella monogamia irrazionale che li riscaraventa al periodo d'oro di Bobby Solo. Che poi è il posto da dove sono evaso io.
Ed è di rilevanza antropologica che oggi al mio paese fanno fatica a metter su un paio di classi e se questo succede ringraziano i Mutu e i Ganesha.
Non si fanno più figli ma tutti continuano a menarla con la monogamia e con il suo valore intrinseco dando unanimi la colpa della sterilità ai tempi incerti, al buco dell'ozono e all'olio marocchino.
Quando oramai è palese ed eclatante il fallimento dell'esclusività sentimentale con annessi e connessi.

Comunque. Come ricorderete, sapevo un po' leggere, scrivere e far di conto.
Aggiungiamoci pure che in qualche maniera il mio lato selvaggio era stato domato e interiorizzato quanto bastava per passare per un bravo bambino, e come risultato avremo che fu un gioco da ragazzi diventare uno dei coccoli della maestra, essere benvoluto da tutti e far la parte del capoclasse come un attore navigato conquistando cuori femminili di bimbe autoctone del paese fino a quelle delle frazioni.

A dir la verità, checché la racconti, non ho molti aneddoti nei miei ricordi di quel periodo malgrado fossi grandicello. Spezzoni vaghi. Frammentati. Un bel dieci in italiano per il tema su “racconta il tuo paese” dove non solo esponevo sensazioni e concetti, ma feci un solo errore grammaticale dimenticando un'acca su una vocale un po' come la Nella che quando la vidi cerchiata in rosso per poco non bestemmiai.
Il maestro della sezione B che ad un mio amico, nell'impunità più totale, lo chiamava alla cattedra per fare l'imitazione e il verso del barbagianni umiliandolo divertito, dello scoprire che lo sport mi appassionava e iniziai, con ottimi risultati, a giocare a calcio, a sciare, a tirar di tennis e a nuotare con stile. Del disagio misto alla lusinga da maschio che iniziavo a provare per l'attenzione delle mie coetanee ma con Rossella tarlo nella testa, anche se ancor per poco. Della maestra, la Bargigli, che era una zittellona un po' bassina e in gamba, con una morale dignitosa, che amava i distillati a dovere, intelligente per il periodo e efficacemente sarcastica fino al cinismo senza mai strabordare e che ci preparò tutti al meglio per il futuro prossimo che ci aspettava. Del gusto che provavo a scrivere e a leggere, mentre far di conto mi è sempre stato di traverso. Di come stessi vivendo un momento storico che doveva cambiare il mondo ed invece ne segnò soltanto l'inizio della fine. Della mia sgangherata famiglia rinchiusa in quella maledetta bottega a pagare i debiti e di un piccolo ragazzetto con i capelli lunghi che si preparava per le scuole medie con tanti dubbi e nessuna certezza, ma determinato a vincere iniziando dall'oblio degli esami finali che mi premiarono, tra le lacrime della santa donna, con una pagella che strabiliava chi chessia.

Le scuole medie sono state però il mio paradiso accademico.
Se superati i cinquanta mi hanno pubblicato report e riflessioni trattato quasi come un intellettuale, se il mio blog di viaggi e cazzi miei nel suo splendore contava più di diecimila contatti, se il libro sulla mia esperienza in Kenya non ha riscontrato vendite ma apprezzamenti meravigliati da tutti e se adesso sto scrivendo un best seller, le basi, a differenza delle vostre inutili lauree, sono nate in quei tre anni lì.
Poi, accademicamente parlando, il buio. Ma ben conscio della qualità della farina del mio sacco.

Intanto, lo dico per gli innumerevoli invidiosi, ero nella sezione A.
A quei tempi la sezione segnava un po' anche il tuo futuro scolastico, sociale, morale e scopereccio.
Ce ne erano tre.
Secondo una cinica legge non scritta di allora nella A andavano i più bravi e quelli raccomandati tipo il figlio del farmacista e del maresciallo che sarebbero poi finiti al Classico o allo Scientifico.
Nella B quelli bravini e quelli bravi che avevano dovuto lasciare il posto ai raccomandati di cui sopra che sarebbero poi andati a Ragioneria o a Segretaria D'azienda.
Nella C i capoccioni che poi smettevano trovandosi un lavoro o andavano al Tecnico.

Fa un po' ridere e un po' incazzare raccontarla così ma funzionava davvero così.
E comunque non stupisca. Era solamente l'antefatto delle basi programmate di quel Classismo che ci attanaglia dal Medioevo e che fino ai giorni d'oggi non ha trovato soluzioni ma solo tumori e cancrene.
Poi hanno scoperto che l'aspettativa di istituzioni e familiari poteva essere disattesa con trent'anni di ritardo chiaro. Che c'era una sana possibilità di ritrovarti il capoccione che con un paio di sbalorditivi steep saliva di grado. E che non era insolito incontrare poi coetanei che erano in C e adesso sono ingegneri spaziali e bischeri come me che erano in A e oggi sono mediocri operai, oltre che mediocre persone. Ma le leggi sociali di allora erano queste e anche se puzzavano di fascismo fino a là, andavano bene a tutti. Compagni compresi, dato che al mio paese erano tutti comunisti tirati a lucido.

Per la prima volta avrei avuto diversi professori e professoresse sui quali giravano leggende e aneddoti da far impallidire il Batman.
Qualcuno sosteneva che quella di matematica della C era una strega che ballava nei boschi nelle notte di luna piena succhiando sangue ai pipistrelli. Altri che quello di Italiano in B mangiava per le festività i bambini poveri. Affermazioni queste che creavano distonia e tensioni tra i favorevoli a prescindere e chi le marchiava come una cazzata fotonica.
A parte quella sul bidello che faceva la cresta sulle pizzette che ci ordinava per la ricreazione.
Ecco, quella a dire il vero trovava concordi in maniera trasversale anche i più onirici e i razionali.
Ma per lo più erano scemenze.

Per quanto mi riguardava la formazione dei professori scendeva in campo con:
-Il professor Morrone. The Master.
Il Professore era quello più importante: Italiano.
In due lezioni arrivai quasi alla venerazione. Come insegnante e come uomo. Vecchio democristiano benestante e di ampia cultura, sapeva interagire con tutti dal recinto di una borghesia agiata e un po' annoiata. Forse per questo era sempre a fare il cascamorto con quella di Disegno, e secondo me c'avevano pure una tresca clandestina.
Fu lui che mi iniziò alla poesia e alla lettura insegnandoci a recitare La Divina Commedia e ad analizzare Calvino e a spingerci a ragionare su come si viveva a quei tempi per capire meglio. Al gusto della parola scritta, incoraggiandoci con temi arditi per i tempi a scavare dentro di noi. E a me personalmente insegnò, senza volerlo, che se sposi una donna che non ami, poi rischi di vivere di rimpianti tutta la vita.
Non stupirà quindi che al Professore gli ho sempre voluto un gran bene che ha sempre ricambiato al netto anche nei lustri che vennero. E sin quando non è morto, anche se potevano passare anni, se andavo a trovarlo mi accoglieva con grandi sorrisi e un'emozione palpabile, che era una roba che non solo mi piaceva, ma mi lusingava.
Si complimentava per i miei report dall'Africa che leggeva nel seguitissimo mensile della vallata un po' per darmi sorridendo un bel voto quando mi avrebbe incontrato, e un po' per sognare un mondo che il suo agio e benessere non gli avevano mai concesso. Mi chiedeva sottovoce come erano le negre a letto con interesse e con sguardi bonariamente invidiosi, e poi arrossiva quando l'aggiornavo su mio figlio cappuccino di 5 anni che quella negra di sua madre aveva partorito malgrado il mio amore e un po' di disappunto e poi, scusandosi con uno sguardo vero, tornava a incoraggiarmi a dare il meglio di me e a non deluderlo stringendomi forte il braccio e fissandomi quasi commosso, che penso sostituiva nel gioco dei ruoli un abbraccio tra galantuomini che giusto dieci anni fa veniva percepito come inopportuno.
Un uomo d'altri tempi, si direbbe oggi.

-Pierino di Applicazioni Tecniche, che ci insegnò ad usare il seghetto e il compensato e ci spiegò con tanto di esperimento come funziona una dinamo e che cos'è l'AC/DC.
Anche se diversi anni dopo scoprii che non era stato troppo sincero trattandosi non solo di fili da collegare nel modo giusto sennò ci rimani appiccicato, ma di una delle più grandi rock band del pianeta e universi limitrofi.

-Quella di Disegno. Che era eterea, angelica, sinuosa, delicata come un cristallo, bella come le dame di una volta con i lunghi capelli neri e poco trucco e, per la gioia dei più che ci volevano provare, zitella benestante per davvero (anni dopo passai ad Anghiari a trovarla quando il tempo aveva spinto me in giro per il mondo e lei verso delle rughe che mal celavano i rimpianti, e viveva in una villa signorile e fu felicissima di vedermi).

-Spina, quello di Musica, che ci insegnò il do-do-sol sol-la-la-sol con il flauto e poco altro ma era simpatico davvero anche se, e si vedeva, oramai preferiva un bel piatto di carbonara ad un fraseggio dell'oboe di Mario Arcari.

-Il prete del paese per l'ora di religione, che era così grasso che lo faceva sudare persino parlare e che faceva a gara con noi a chi era più scoglionato durante la sua unica (per fortuna) inutile ora di minchiate.

-Di matematica, giuro, mi ricordo solo che era un quello. Poi il buio.

-E per finire il mitico professor Zavagli di Ginnastica (detta anche, come cultura fascia comanda, Educazione Fisica), che dato che con lui ti divertivi e basta, era il più amato di tutti.
E lo Zavagli mi ricorda due aneddoti nitidi ed abbondanti che vado a emancipare.

Il primo. Non so oggi come funziona con voi intelligentoni, ma ai miei tempi nelle scuole medie si svolgevano i Giochi Della Gioventù, che si basavano su prestazioni per lo più di atletica. Lo so che può far quasi ridere parlare di queste cose ma a quei tempi una medaglia lì ti poteva cambiare la vita.
Personalmente in tre anni ho raccattato un misero bronzo nel salto in alto e poco più.
Tra le tante discipline c'era anche il lancio del peso, che chiaramente era rivolto ai più muscolosi e forti.
Ricordo ancora quando lanciò il mitico Occhio, che era figlio di agresti ed aveva un fisico molto sviluppato per l'età e una forza fuori dall'ordinario. Il suo lancio fu da record.
Lanciò il peso davvero lontano. Troppo.
La bestia fatata volle che in quel preciso momento passasse di lì una ragazza che doveva partecipare ad una corsa dall'altra parte del campo. La centrò in pieno nella tempia.
Quando stramazzò a terra tutti pensarono che era morta. Ho nell'archivio fotografico dei ricordi lei inerme con gli occhi girati.
Ci fu un panico totale. L'impreparazione dei professori ad un opzione così spaventosa e forse neanche messa tra le variabili possibili, i mezzi di soccorso non certo rapidi ed efficienti come oggi, la paura e il caos tra gli alunni. Furono momenti davvero drammatici.
Ricordo che nei giorni successivi giravano tutte le voci possibili sul suo stato.
Di sicuro era in coma e si doveva aspettare. Ma alla fine tutto andò bene.
Non morì ne riportò deficit.
Anzi, diventò persino eccentrica e negli anni della fricchettonaggine che ci accomunò si fidanzò con tale Enrico di Firenze, che era un tipo simpatico, capellone, fricchettone a palla, scannarolo e che suonava la chitarra con un gruppo di scappati di casa come me e lui, che eravamo buoni amici e in ottimi rapporti, ai quali organizzavo concerti di poco successo nelle mie zone. Quel gruppo si chiamava Vidia e Blow Up era una ballad che adoravo e ancora oggi canticchio sotto la doccia.
Va da sé che dieci anni dopo tale Enrico di Firenze, tra una percezione e un bada lì, intendendo di me sbarbotto da nulla e di getto di Enrico più lucido sul pezzo ma a coprirci le spalle un libanese giallo che a quei tempi piegava i ginocchi ai berberi, è diventato Enrriquez della Bandabardò.

Un'altra si collega sempre ai Giochi.
Quando eravamo in terza, per la prima volta, fu inserito tra le discipline anche il calcio.
Giubilo totale. Sogni di gloria a nastro e problemi nuovi ancorati a quelli vecchi da risolvere.
Il primo. In quella scuola andavano gli alunni di due paesi confinanti che si odiavano senza se e senza ma. A nessuno passava neanche per l'anticamera del cervello di sporcarsi con quegli infami dei vicini.
Così fu deciso che si sarebbe disputata una partita tra due squadre del medesimo istituto per stabilire chi sarebbe andato poi a giocare la sfida Provinciale.
Nei bar dei due paesi non si parlò d'altro per settimane tra probabili formazioni, tattiche e pronostici.
Ricordo nitidamente che si giocò di domenica mattina che si doveva finire prima della messa delle 11 (una volta funzionava così) davanti ad un campo sportivo gremito in ogni dove avvolto da una giornata primaverile limpida di sole.
La nostra era una buona squadra ed io ero il regista con l'onore e l'onere della fascia di capitano. Ma anche loro avevano una bella squadra. Li conoscevamo bene e loro noi dato che nei campionati giovanili ci eravamo già scannati diverse volte in derby infuocati.
Fino all'80esimo la partita non si sbloccò. L'equilibrio regnava ma l'ipotesi di andare ai rigori avrebbe favorito loro che avevano un portiere molto bravo.
E poi successe. Lo ricordo come fosse ieri.
Presi palla a centrocampo tirandola via dai piedi di Cinciuè, che era il Gigi Maroni degli avversari e che purtroppo è morto già da tanti anni, scartai due difensori in scioltezza e mi ritrovai sulla linea di destra della loro area in velocità e con la palla sul mancino, il mio piede buono.
Tirai una bomba. E quella andò a infilarsi precisa sotto il set.
Vincemmo 1-0 e fui portato in trionfo dai miei compagni.
Il giorno dopo a scuola eravamo tutti belli gonfi e goliardici fino alla nausea con i cugini dalle orecchie basse, le bimbe ci fantasticavano come i cavalieri di Re Artù di ritorno dalla battaglia e il mondo ci sorrideva benevolo facendoci sognare un futuro radioso.

Finché non arrivò il professore a darci la tremenda notizia.
La formazione della prossima partita, che era decisiva e che si sarebbe giocata in campo neutro nelle zone del basso aretino, sarebbe stata selezionata tra i giocatori dei due paesi.
Panico totale. La reazione fu scontata e pure prevedibile: banchi e armadietti usati come barricate, molotov e cimose che volavano in ogni dove, bestemmie a grappolo e slogan contro il potere costituito con cariche e lanci di fumogeni dei celerini accorsi in tenuta anti sommossa.
Ma alla fine vinse il professore. E tutti ingollammo il rospo.
E devo ammettere che venne fuori una gran bella squadra.

L'incontro si giocò vicino ad Arezzo in un campo infame che penalizzò la nostra tecnica nettamente superiore alla squadra avversaria, ma il supporto di due paesi che si presentarono in blocco a incoraggiarci fece la differenza. Vincemmo 1-0 e staccammo il biglietto per andare a giocarci in quel di Firenze contro una media di Pistoia il titolo Regionale. E quando il professore ci disse dove avremmo giocato quella partita non credemmo alle nostre orecchie:
Nel centro sportivo di Coverciano. Campo centrale.
Mi sentivo già il nuovo Antonioni e mi sognavo a guidare duetti costosi vestito di lusso.
La prendemmo tutti troppo sul serio. Persino il professore che pianificò tutta una serie di allenamenti non contemplati e si mise a parlare come Arrigo Sacchi un po' con tutti.

Il giorno che entrammo a Coverciano ce l'ho ancora stampato negli occhi.
Campi ricoperti di manto erboso perfetto e con le linee fatte dritte. La nazionale russa che si allenava nel campo adiacente al nostro. Palloni di cuoio veri in ogni dove a disposizione di tutti.
E poi gli spogliatoi. Sembravano la reggia di un Marajà.
Ridete ridete.
Ma provate a immaginare una ventina di ragazzotti di campagna abituati agli spogliatoi del paese dove se non eri un pò furbo facevi di sicuro la doccia fredda, che quando era domenica ti toccava un po' di the caldo se non eri tra gli ultimi, che l'olio canforato te lo compravi se lo volevi usare e il massaggiatore era una figura che vedevamo a 90° minuto la domenica e morta lì, fateli entrare in uno spogliatoio grande come un albergo dove ognuno aveva il suo armadietto, sedia e lavandino per lavare le scarpette, dove c'erano una ventina di docce allineate che sparavano acqua bollente, come fu subito accertato dal figlio del trombaio che stava sempre in panca ma di quelle cose ci capiva, con un tavolino pieno di roba da bere fumante e da mangiare allettante e, udite udite, finanche la piscina.
E quindi capirete perché i livelli di dopamina sfioravano l'orgasmo.
Fu la piscina in particolare che ci fregò con il senno di poi.
Sognare di buttarsi in vasca dopo la partita ci deconcentrò un po' a tutti.

L'altra squadra era fortissima. Erano grossi e avevo volti sicuri.
C'erano tre che gravitavano nelle nazionali giovanili e venivano indicati come futuri professionisti e avevo i massaggiatori che li preparavano mentre noi ci scaldavamo intimiditi su e giù per il campo che ci fecero sentire a tutti proprio degli sfigati.
Ma combattemmo con il coltello tra i denti e vendemmo cara la pelle.
Alla fine perdemmo 1-0 per un gollaccio al 90° grazie ad una clamorosa papera del nostro portiere, il Bentivoglio. E non è certo un caso che ancora oggi quando lo incontro, di rado per fortuna perché è veramente insopportabile, scopro che mi sta sulle palle pari pari come allora.
E non ci fecero nemmeno riempire la piscina, quelle merde.

Ma torniamo alla peculiarità crismica del fare scolastico.
Stavano arrivando gli esami finali e l'eccitazione era palpabile in ogni dove.
Il balzo in avanti che stavamo per fare ci avrebbe proiettato nelle scuole dei grandi, mentre i brufoli abbrutivano i visi masti e la mascolinità creava goderecci pruriti al basso ventre mentre le bimbe iniziavano a fare i conti con quel fantastico regalo evoluzionistico che è il mestruo e tette di tutte le misure fiorivano in una costante escalation a volte con imbarazzo ma più spesso con estrema disinvoltura e ammiccamenti. Con il contorno delle BR che sequestrarono Moro.

Ma io, malgrado tutto questo bailamme, ero concentratissimo solo ed esclusivamente sullo studio.
Adoravo studiare.
I miei erano sempre fuori casa quindi potevo dedicarmi ai libri senza sentire litigate, paternali e nervosismi che mi deconcentravano e impermalivano. Avevo le idee chiare su cosa avrei preparato e presentato all'esame, dove i professori mi dettero campo libero di portare cosa volevo, tutti sicuri -io un po' meno a dire il vero- che sarebbe andata benissimo.
Andò a finire che preparai quegli esami come un piccolo Pennac degli Appennini.

Ricordo come una visione che dopo i risultati degli scritti, che io non conoscevo ma intuivo dagli sguardi benevoli del Professore e gli altri, quando affrontai gli orali c'erano tutti, dico tutti, gli insegnanti dell'istituto. Alcuno è ancora vivo quindi può confermarlo.
Spaziai dalla storia egizia spiegando Piramidi, Sfinge e l'importanza del Nilo e spostai con un balzo la faccenda sulle centrali elettriche e il loro funzionamento, tirai una disquisizione sul Cavaliere Dimezzato che quasi avrei potuto riscriverlo lì, poi passai agli Unni e a tutti i Barbari, che mi garbavano parecchio di più dei Romani che eran sempre inquadrati e vestiti uguali e ti facevan venire due palle così mentre loro erano sempre selvaggi, incazzati neri come piace a me e con i capelli lunghi che io sfoggiavo già all'asilo, e la finii in un crescendo mozartiano con la Divina Commedia che fu l'argomento a piacere, dando persino le spiegazioni su cosa voleva dire Dante, e recitai estese quartine dell'Inferno in scioltezza come cantassi Furia Cavallo del West nello strabilio totale.
Mi dettero il massimo dei voti chiaramente: Ottimo.
Come al figlio -raccomandatissimo e consapevolissimo del privilegio e molto saccente nella sua inutile intoccabile illibatezza- di quella merda del nuovo maresciallo dei caramba, che già mi aveva puntato con l'obice, e fui indirizzato senza se e senza ma verso il liceo classico, ancor poco consapevole e con poca immaginazione che la bestia buona che dimorava in me stava uscendo dal letargo per pretendere oboli in dolore, fiorini metafisici e, più che altro, ruggiti che dovevano annientare tutto e tutti. Indistintamente.

Chiaramente non andai al Classico e men che meno allo Scientifico.
Lì ci andavano tutte le ragazze con l'astuccio e i capelli perfettini e gli sfigati ed io ma manco per niente.
Scelsi Ragioneria.
Semplicemente perchè ci andavano tutti i miei compagni della squadra di calcio, solo per questo.
E non fa più notizia che ero nella sezione A e che per il primo semestre fui un'eccellenza della classe.
Ma la bestia buona oramai aveva trionfato, ed io mi adoperai per assecondarla su tutto anche se all'inizio ci cascai nella trappola della scuola come dovere essenziale e istituzionale pari a una pera.
Ma oramai la pera stava arrivando alla frutta, e comunque di sicuro era cotta.

Così mi impegnai studiando inutili e mistificatorie lezione di Storia che ci ha raccontato cazzate immonde -tipo la scoperta dell'America-, che in realtà altro non è stato che un atto di guerra e invasione contro popoli che erano nati e vivevano lì pacificamente o scannandosi tra loro da secoli.
Accettato di studiare e far sfilare come eroi gente che erano solo assassini, sterminatori e stupratori come Velasquez ed il suo esercito con il codazzo di missionari che in dieci anni hanno annientato culture come quelle Maya e Inca che prosperavano da un'eternità. E includere, al culmine dell'indecenza, quell'altro sicario di popoli col nome a cazzo di cane, Cook, che scoprì invece l'Oceania importandoci violenza, avidità e sifilide -roba da caucasici che fino ad allora erano sconosciute alle popolazione autoctone- per trasformarla in un penitenziario anglofono, depredarla di tutto e passare poi da prode in patria nella mezzadria di saccenza e voluttà.
Feci finta persino di bermi la buggera che i Medici erano dei benefattori e fatta grande Frittole, quando in realtà sono stati solo dei perfidi usurai malati di potere come un nano qualunque e che quel Duomo, il Davide -quello finto e quello vero, che poi son spicciccati uguali- e altre splendide e univoche bellezze della mia città d'adozione, erano soltanto l'altra faccia della medaglia di un potere sanguinario, laido e vigliacco.
Mi toccò pure bere come una birra sgassata, nel silenzio inconsapevole di tutti, che Achille era un mezzo dio guerriero quando invece era solo un altro omicida che si incaprettava a vicenda col cugino.
Ma questo non si doveva sapere e men che meno dire perchè nei libri non c'era.
E scoprii che affermare che Michelangelo era un genio portava un ottimo voto.
Ma affermare che era anche un convinto pedofilo ti faceva spedire dritto dal preside con una bella sospensione e il dileggio catto-comunista di istituzioni senza un briciolo di dignità.

Detti persino soddisfazione a quella demente di Geografia, la Casi -che a dargli della demente gli facevi pure un complimento- e studiai tutte le cazzate che anche lì andavano come il pane, imparando inutilmente quanti abitanti contava Caracas allora e che c'erano il Polo sut e supr, ma impedendo alla fessa di cui sopra di inculcare nella mia mente il concetto di confini.
Tanto che poi, quando da bravo ragazzo diventai in tre giorni un drogato, litigammo di brutto appena provai a porre il dubbio sul perchè nei paesi caucasici i confini erano strambi e contorti, quando invece nei paesi del Medio Oriente eran tutti asettici quadrilateri. Chiaramente non seppe rispondermi, ma capì che io conoscevo la risposta, e si infuriò usando quel patetico potere che il ruolo le concedeva.
Da quel giorno in poi lei entrava in classe per la lezione ed io uscivo a far due ore di chiacchiere con il mitico bidello Nottoli. Un grande piccolo uomo, tra parenesi.

Con la Tafi, quella di Italiano, non ci fu invece nessun problema.
Con lei mi trovavo molto bene e ancora oggi penso che per quegli anni veleggiava con concept di studio molto avanguardistici e riconosco che mi ha aiutato -e tanto- ad avere più consapevolezza delle mie capacità e a fidarmene sopratutto.
Una brava donna, intellettuale sul serio e di famiglia agiata, senza i pruriti del classismo e che amava il suo lavoro e i pischelli che si ritrovava in classe. Indistintamente.
La porto nel cuore, a differenza di quella ciofeca di depressi che era la ciurma dei cosiddetti professori.

Con quello di inglese invece, il Pierotti -che cito con degno disprezzo-, ci litigai subito portandomi avanti con i lavori. Un uomo matupito dagli eventi della vita e della prostata che ci trattava a tutti come gli asinelli del Paese dei Balocchi per principio.
Infatti con lui non ho imparato una parola di inglese.
L'ho imparato poi da solo, quando mi ritrovai a viaggiare in India con un piccolo vocabolario, e perfezionato poi in Kenya dove ho imparato pure a scriverlo.

Perchè di punto in bianco ero cambiato diventando da bravo ragazzo un tipetto da manette?
Si chiesero tutti, compresa la santa donna oramai rassegnata.
Perché era successo qualcosa. Chiaramente.
Un qualcosa che aveva tre nomi: la Conoscenza, la Gnocca e i Rolling Stones.
Anzi quattro, dimenticavo le Canne.
Ma nel prossimo capitolo approfondiremo il tutto.

Andò a finire che fui bocciato con tutte insufficienze, anche ad educazione fisica dato che non mi ero mai presentato ad una lezione, a parte, -chiaramente- un bell'otto in italiano che la diceva tutta.
Un mese dopo mi ritrovai alle sei del mattino davanti al bar del paese con altri quattro bischeri come me ad aspettare il pulmino che ci avrebbe portato in una cementeria vicino a Firenze dove avrei iniziato a far finta di essere un metalmeccanico. Tenendo nella mano destra, quella balorda, la borsa con la garitta di pasta già stracotta e la braciolina sotto pari ad una suola di ciabatta, e nella sinistra, la mano buona e con una presa ben sicura, Teresa Batista è stanca di guerra.

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