lunedì 17 dicembre 2018

La Straordinaria Vita Di Un Coglione Qualunque #2



capitolo due


"Dell'asilo e delle suore, per non dire dell'amore"

Poi il tempo delle pappe infantili finì e iniziò quello delle novelle contemporanee.
Forse non tutti conoscono la fake news di quel giorno piovoso dell'estate del 1968.
Mentre sul palco per l'ultima esibizione di Woodstock stava salendo Jimi Hendrix per scaraventare il rock vent'anni più avanti con quell'assolo di Span Spangled Banner che smascherò l'inno americano davanti a quattro gatti ma ghiotte telecamere in un oceano di spazzatura che svolazzava per le hills, in un anonimo paesello degli appennini toscani un piccolo marmocchio ameno e magro, sguardo da bel tenebroso, con i lunghi capelli castani inselvatichiti dal blood in the wind e i jeans Roy Rogers stropicciati bene saliva, trascinato in catene, le scale dell'asilo.
Trascinato in catene, ripeto.
Farà strano ma la leggenda stavolta si squaglia nella realtà.
Io piuttosto che andare all'asilo sarei andato a fare anche il lavapiatti a Manaus. Per dire.
Ma i Miei non sentirono ragioni e poi ancora non avevo il passaporto.
Fu così che con un grembiulino azzurro a scacchi bianchi (inguardabile) mi apprestai al primo giorno e mi ritrovarmi nella perplessità incazzosa più totale esuberato da bambini barra bambine che, le bambine con tonalità rosa sfigate, piangevano senza remora aggrappati a chichessia, con madri sovreccitate che entravano in trip agonistico creando probabilità, imprevisti e incongruenze, con suore un po' ansiose e a corto di battute da ma Don Matteo dice e necessitanti di un paio di bicchierini di distillato e poi Lei.
Rossella.
Un pezzo di topa alta più di ottanta centimetri.
Con un taglio di cosce che non finiva più e un fisichino regolare e accondisceso.
Un caschetto nero notte clandestina e una frangetta che mi rigirava le sensazioni dentro lo stomaco.
Tette manco a parlarne, ma che occhi celesti pieni di purezza!
Che celestiale estetica!
Lei figlia di un maresciallo dei carabinieri tutto d'un pezzo (che ai miei tempi, come la Tina, contava come l'asso di briscola e te lo ricordava ogni dieci minuti con fare un po' mafioso e un po' democristiano) e io di due sfigati qualunque e con delle idee molto malsane (sempre per il padre di cui sopra) a proposito di autorità, gerarchie e la volontà di rispettarle.
Sembrava come un'insipida sceneggiatura che la cosa non avrebbe funzionato.
Invece fu amore a prima vista.
Anche se per lei lo fu alla seconda. A dir la verità.
La prima, dato che non mi considerava con la dovuta trepidazione, con un macho sgambetto la resi inerme a terra e fissandola serissimo e minaccioso le domandai se voleva diventare mia moglie.
Secondo me non capì bene la metafora, ma annuì immediatamente più per terrore che nobili sentimenti.
Ma seppi farmi perdonare poi, usando la dolcezza.

A dir la verità a quei tempi non avevo molto chiaro il concetto di dolcezza.
Quindi nessuno mi giudichi più di tanto se non ebbi miglior pensata di trascinarla nei bagni in miniatura, di toglierle il grembiulino e pure il resto, e rimanere lì bello fesso a fissarle tra le gambe quella minuscola fessura che non si specchiava ma proprio per nulla nel baccellino che ciondolava un po' ridicolo tra i miei cuccioli arti. Per lei non lo so, ma per me fu un mezzo shock.
Ma queste disquisizioni di genere non si svilupparono oltre perchè di botto la porta del bagno si aprì e apparve suor Carla, che anche se era alta un metro e un barattolo per noi bastava e avanzava.
Dallo spavento il primo schiaffo che presi neanche lo ricordo.
Il secondo invece lo ricordo bene. Come l'anatema che ne seguì: “Peccatore! Dio ti punirà!”
Fu uno scandalo che per i tempi fece scalpore.
Il maresciallo per poco non mi fece prelevare dalle teste di cuoio e trasferire ad Alcatraz, i miei genitori aggiunsero altri tre schiaffi per rimanere in tema creando un abisso emozionale che ad oggi non si è più cicatrizzato, i miei compagni di gioco iniziarono a guardarmi come l'uomo lupo e le suore inserirono il mio nome tra i papabili per una sessione o più di cilicio e sangue.

Già, le suore.
Il battaglione nemico contava un esercito di tre marines che guerreggiava sul campo ed una colonnella a impartire ordini comoda ma molto decisionale su ai piani alti, nell'inviolabile ufficio che se ti convocava lì eran cazzi a prescindere, e applicavano un gioco a zona molto efficace con un raddoppio di marcatura asfissiante che poi il possesso di palla l'avevan sempre loro alla fine.
Devo aggiungere che la madre superiora, anche se andavamo sulla Luna e per il Datismo da terzo millennio, per me rimaneva un'entità mitologica come il Minotauro e Dio, per l'appunto.
Non so neanche se allora l'ho mai vista e dubitavo fortemente che esistesse davvero. Si consolidava l'idea, supportata dagli sviluppi della quantistica e dai primi avvistamenti UFO, che in realtà fosse un extraterrestre che ci usava come cavie per misteriosi esperimenti, e nei miei confusi ricordi frange catto-comuniste mi bisbigliavano che si nutriva di eretici e peccatrici, e conscio che True Detective Pizzollato non lo aveva ancora sceneggiato, prendevo tutto per buono e mi tenevo in disparte perchè non si sa mai.
Di sicuro l'ala dura dei fedeli la sostenevano nel suo oscurantismo inquisitorio mentre i compagni del paese la inquadrarono come il nemico pubblico da barricate in contumacia.
Io, che gli Dei mi perdonino e come avrete capito, invece ne avevo solo paura, sentimento questo che avrebbe marchiato a fuoco il mio approccio alle religioni per i prossimi diciotto eoni.

Va da se che dopo diversi anni non solo scoprii che invece esisteva ed era in carne ed ossa, ma ridiventò femmina, lasciò l'Ordine, iniziò a vestirsi alla moda e sposò l'ex sindaco comunista del paese in un crescente scandalo socio/catto/politico che fu zittito, dicono, un po' grazie alla bizzarria delle cazzate comuniste di Stalin e un po' alla bizzarria delle cazzate delle Scritture, che trovarono per l'occasione un connubio dottrinale studiato ancora oggi dagli antropologi di tutto il pianeta.
Con un Dio muto. E uno Stalin visibilmente adirato.

Suor Carla invece era un po' il Tardelli della situazione senza l'esuberanza fisica del centrocampista dato che era alta 142 centimetri. Ma solo se indossava tacco 12. Altrimenti veleggiava sui centotrenta.
Per capirsi, a far femori in nome di croci e vergini ci poteva stare, si adoperava con perizia da trapattoniano opus dei, con ogni probabilità trovava persino una scusa vendibile ogni palla persa (vedi cazzate a bocca piena) che usciva dalla bocca del priore di turno che beveva troppo e che tutti lo sapevano ma nessuno lo doveva dire sennò è peccato. E ne aggiustò tante che nessuna mai rinfacciò.
Ma non aveva la cattiveria agonistica del mediano con il fiuto del gol.
Era più un De Rossi che non ce l'aveva fatta, ecco.
Ma in fondo in fondo era buona e con un cuore buono.
Peccato solo che facesse la suora. Questo la limitava tanto. 
Parlo serio.
Era nata in un nord-est lontano dall'illusione Padania e ad oggi rimane un mistero sul perchè prese i voti.
Forse troppo bassa per gli standard post-fascisti di allora, forse la classica delusione d'amore, che accomunava il 90% delle vocazioni di quegli anni, forse e più semplicemente la paura dell'amore.
Non lo so. Ma suor Carla è stata una ganza alla fine dai.
E ancora oggi, che manco so se è viva o meno, la ricordo ad ogni equinozio con un doppio rum.

Suor Franca invece veniva dal sud calabrese e sovrastava suor Carla giusto per un tennistico net.
Ma non certo in dialettica ma solo per faccende di innocui centimetri per cui lei, che giù aveva appreso la vocazione e l'omertà che sennò dio non ti aiuta, schiva ma con un aurea mistica al peperoncino, assecondava tutto come un affiliato fedele.
In quegli anni di asilo l'ho sentita bisbigliare ventisei parole, di cui otto in falsetto e le altre in calabrese parecchio stretto.
Praticamente un mistero pari ai cerchi nel grano.
Però, perchè in un ordine di suore c'è sempre un Ma obbligatorio che tutte fanno finta di rispettare e un Però assolutorio che invece si manifesta, all'asilo cucinava lei.
E, che da lassù la Sora Lella mi perdoni, cucinava davvero da Dio.
I suoi sedani rigati al pomodoro se la giocherebbero ancora al giorno d'oggi in scioltezza e senza presunzione con il bollito-non bollito-ma quanto cazzo costa 'sto bollito di Bottura e gli scampi alla fava verde di Kripton con teste di vipere argentine stufate tagliate in ottangoli e a luna piena di Borghese.

Comunque, sarà perchè sarà, sarà perchè e per come, ma come sunto dei miei quindici anni di ristorazione spesi in patria e in giro per il Mondo nella mia dispensa troverai, nel mezzo di lenticchie, basmati, uova, capperi e verdure del momento, gli immancabili sedani rigati.
E te li saprò cucinare nei più svariati modi cercando, ancora oggi che son passati cinquantanni, l'equilibrio perfetto dei sui sedani rigati al pomodoro.
Invano.

E poi c'era lei.
La Maradona dell'istituto.
La fantasia, l'anacronismo, l'apoteosi.
Suor Celina.
Un mito già dal nome.
Suor Celina è e rimane qualcosa che manco Joice e Milton hanno provato soltanto a ipotizzare.
Nessuno gliene faccia una colpa quindi ma solo privilegio se a quei tempi, a differenza di questi tempi spenti, il vin santo che poi sarebbe diventato nelle eucaristie il sangue di Cristo lo gestiva lei.
E non era una roba come al giorno d'oggi che arriva uno psicopatico del Bartolini a portartelo.
Veniva il contadino. Anzi, venivano i contadini della zona a portare bottiglioni di quel buon fermentato che di lì a poco, se tutto andava a modino, sarebbe diventato sangue.
E credetemi, star lì a decidere quale vin santo fatto con passione, competenza e motivazione fosse il più adatto a diventare il sangue di Cristo era un lavoraccio.
Sul serio.
E finirla ubriaca a norma di legge etilica era un attimo.
Ma lei non si tirò mai indietro con una devozione piena di impegno e cristiana compassione che qualcuno sussurra che la madre di Calcutta, quella famosa, per fortuna morta e parecchio chiacchierata, si ispirò palesemente ai suoi deliri mistico-alcolici.
E con successo pare.
E a quello che sappiamo ad oggi nessuno ha mai, ripeto mai, messo in discussione le sue scelte e il suo vin santo che, ad ogni domenica ciclica come il mestruo, diventava il sangue di Cristo nelle sfintere del prete di turno come per magia e a sberleffo delle quote Snai.
Aggiungendo che anche Wikipedia non riporta nei suoi aggiornamenti alla data odierna alcun catto-comunista che ha posto dubbi su il miracolo di suor Celina, anche se al mio paese, i catto- comunisti hanno comandato dal dopo guerra ad oggi dimostrando al Pianeta intero e alle Galassie limitrofe che le panzane di sinistra e dei preti sono solo pericolose panzane di sinistra e dei preti.
Ed hanno accettato senza citare Marx e San Tommaso perché manco sanno chi sono, con una passione quasi erotica aggiungerei, che il vin santo selezionato da suor Celina poi diventava il sangue di uno morto inchiodato e che è poi risorto. Anche se nessuno di loro sa di preciso come sarebbe andata dopo.
E se mi è permesso, per concludere e senza disturbare troppo la sensibilità di cattolici e i comunisti della domenica e zone limitrofe, io a questa cosa del vino e del sangue, ad oggi, mica ci credo mica.
Io credo solo alla moltiplicazione dei pesci.
Del grande Dynamo.

Ma torniamo alle cose belle.
Le mie delusioni d'amore.
Io a Rossella mica la volevo mollare così eh.
Quindi gli schiaffoni, l'ostracismo della Superiora imbeccata da quel demente del maresciallo, le altre suore sinceramente preoccupate per il mio avvenire, la santa donna ad un centimetro dal collasso e la nomenklatura che mi aveva eletto a un Vallanzasca in miniatura non mi fermarono ma manco per niente.
L'amore avrebbe trionfato.
E infatti trionfò.
Trionfò così tanto che fuggii dal negozio dei miei genitori verso il crepuscolo in un anonimo mercoledì sera di ottobre che in giro non c'era un cane neanche a dargli gratis gli ossi.
Arrivai nella piazza vecchia del paese sotto la fontana con le teste di leone che sputavan acqua, mi sedetti ai piedi della suddetta che si protocollava al civico 6 (che era quello degli sbirri) forse pregando, forse pensando, forse chi sa, e aspettai un segno d'amore della mia Dulcinea Del Toboso. Invano.
Tuttavia se il segno dell'amore non trovava esamina nei contesti dell'ordinarietà, il buio faceva il suo inesorabile corso, e si affacciava l'oscurità.
Fu così che dopo un tempo non definibile nel mio cuore di sbarbo, arrivò mio padre insieme al maresciallo che mi cercavano da un paio d'orette abbondanti dopo aver messo mezzo paese in subbuglio per la mia scomparsa prematura.
Quindi può essere limpido e chiaro ai più che quando mi trovarono rannicchiato pieno d'amore e mi dettero due schiaffi, uno un pò per paura e uno un po' per rivincita ma solidali stavolta, il risvolto che si intreccia tra la metafisica scenografica del padre che fa il bravo educatore e lo sbirro che fa il bravo educatore fu devastante.
Mi ritrovai chiuso in camera senza cena e gli occhi pieni di lacrime circondato da un Vuoto Assoluto che percepivo nella testa, nel cuore, nello stomaco, in quei cazzo di 7 chakra ma molto più nettamente nell'Aura Sciamanica e nell'Ancestrale Disegno Cosmico (che non so che cazzo siano ma dà l'idea).
Continuavo a rivedere il viso di Rossella e i suoi grandi occhi celesti che mi giudicavano non degno.
Successe qualcosa in quel momento che trent'anni dopo di solito segnano la tua catastrofe emozionale, la tua nemesi finanziaria e, in ascetica escalation, la fortuna economica e professionale di psicologi e psichiatri.
Ma non fu il mio caso in questo caso.
Perchè sopravvissi.
E chi sopravvive è pericoloso.
E può essere dannatamente incisivo nel suo obbiettivo successivo.

Si sappia comunque, senza gli assoli blues di Page che mi sciolgono come un cioccorì tenuto troppo in mano a ferragosto, che da quel giorno qualcosa si ruppe definitivamente dentro di me.
Qualcosa che si sarebbe manifestato poi in seguito tra storture emozionali, scompensi psichici, opportunità mandate al macero, safari un po' tossici nel subconscio e sfortune ordinarie che andarono ad aggiungersi al coro creando uno tsunami sensorio che non lasciò prigionieri nei pischelli perimetri del mio Io in panne.
Ma la disillusione sul lady love concept, il genere femminile nello specifico e tutte le panzane correlate fu la più cruciale e depredante.
Fu come se da quel momento in poi le mie prerogative d'amore sarebbero partite da un'amarezza irrefutabile senza se e senza ma. Fu come se da quell'istante in poi la necessità di un tampone emozionale mi avrebbe sovrastato gagliarda cercando di aiutarmi ad ammainare la bandiera bianca che sventolava tra le macerie, per ritrovare un briciolo di dignità nel bagno di sudore e sangue che era l'Amore.
Ed io nel tempo mi sovrastai e mi dignitai di comprendonio e presagio energetico con un approccio molto olistico, determinato ma più che altro virile alla Cosa, e inconsciamente iniziai ad elaborare, arrivato al sommo, la mia lucida vendetta nei confronti di Rossella e il genere femminile in toto.
La mia sete si sarebbe diffamata al loro Grande Dhrama, al loro Big Tabù, alla loro Waterloo che invece sarebbe stata per me che ho sangue Acheo e Sioux una Little Big Horn: Il Sesso.
Ma di questo ne parliamo nelle pagine successive. Quando sarò cresciuto un po'.
Questa è una biografia di un coglione di successo, mica un film porno.

Mio malgrado furono comunque presi dei seri provvedimenti per ridurre almeno i danni dell'essere agitatore fuori dal coro e con degli scompensi affettivi che Jim Morrison in confronto sembrava Fonzie.
Si cercarono soluzioni definitive per questo marmocchio che osservava con lo sguardo puro il mondo come in un cartone animato ma che nell'Io era già un cane bastonato che era scampato alla fine, un bastardo randagio con pochi denti ma tinto male, in giro a non sentir ragioni delle regole imposte e classismi della prima ora, oltretutto in uno dei periodi più stupidi -parlo del '68 in un paese di 3000 anime catto-comuniste di un'ipocrisia senza pari- che ti poteva capitare.
Dopo il Concilio di Trento o il dibattito sul film di Nanni Moretti in piazza, chiaro.
Dovevo rientrare nei ranghi e rimesso in riga come dio comanda e sezionato, con lo scrupolo e la delicatezza del Mossad, sul curricula, i precedenti penali, i casi pendenti e stilare l'elenco delle patrie galere che di sicuro in un futuro prossimo mi avrebbero accolto a braccia aperte.

Intanto fu deciso che non potevo rimanere da solo quando non ero all'asilo e non potevo più andare in giro per il paese a caccia di fate e elfi per ore senza che nessuno sapesse dove fossi e cosa stavo combinando.
Avete capito bene vero?
Avevo quattro anni e mi muovevo come un adolescente.
Credo con nozione che quel periodo lì è stato davvero incredibile. La bestia buona che sono diventato ad oggi nacque lì. Erano gli anni sessanta e in un paesello queste cose non facevano molto scalpore morale e men che meno educativo. Ero solo un piccolo bambino che passava molto tempo da solo, lontano dai grandi e dai coetanei, come un sociopatico qualunque.
Presumo che nel mondo attuale sarei in affido e i miei genitori con un bel penale in corso.

Comunque, la soluzione fu trovata: la Nella.
La Nella non era una baby setter, non era un'educatrice, non aveva titoli di studio se non qualche classe elementare, non si vestiva radical chic, non parlava radical chic e non gigionava a leggere inutili saviani in voga, sbagliava sempre l'acca sulle vocali e votava democristiano perchè lo intimava il prete.
Ma è stata una donna meravigliosa. Una delle più importanti della mia vita.
Non so come nacque la cosa, ma dalla sera alla mattina mi ritrovai che quando uscivo dall'asilo andavo da lei che viveva lì vicino ed era una casalinga.
A quei tempi essere la Nella casalinga voleva dire: alzarsi alle 6, pulire la casa, lavare per marito e minimo due figli, stirare per il plotone di cui sopra, far la spesa in paese e risparmiare all'osso, far da mangiare continuando a risparmiare su tutto, accudire galline e conigli prima di tirargli il collo dietro casa, gestire l'orto per il fabbisogno della dinastia tirandoci fuori un bengodi che oggi non esiste proprio, spettegolare rigorosamente sottovoce dal terrazzo con le altre dell'ultima diceria facendo poi le espressioni tra lo stupore e l'indecenza, trovare tre volte al dì dieci minuti per pregare sommessa 'sto dio che non ci sentiva troppo bene da quell'orecchio, uncinettare semplici macramè per creare presine da pentole che qualche settore terziario pagava un centimetro sopra la miseria e, da quel momento in poi, guardare questo piccolo strano animaletto che viveva in un mondo tutto suo.

Non so lei, ma io me ne innamorai subito.
La Nella confezionava delle marmellate che certificavano l'esistenza di Dio, Maometto e l'Uomo Ragno.
Ti faceva trovare sulla spianatoia della pasta fatta al mattarello in venti minuti che Cracco se ne va a cagare per principio.
Riempiva e seduceva le tue papille gustative con dei fantastici dolci realizzati con gli avanzi che oggi volano nell'organico, roba che questi invertebrati che straparlano della gastronomia in TV non saprebbero neanche immaginare.
Ogni martedì partoriva un sugo di carne che resuscitava i morti, neutralizzava i vampiri, i cattivi pensieri e faceva sentire tutti più buoni e umani.
E poi mi raccontava le novelle con passione e coinvolgimento inventandole di sana pianta e usando come termometro il mio umore giornaliero -una roba di una finezza eccelsa-, mi fece vedere come si uccide e si spella il coniglio che adoravo quando lo faceva arrosto con il finocchio selvatico, che sembra un gesto crudele e insensibile ed invece, con uno slancio pedagogico innovativo e intelligente senza precedenti, soltanto la realtà oggettiva che non va mai nascosta ma manifestata, spiegata e illustrata.
Poi casomai decidi tu cosa fartene di questa realtà.
Annichilì il concetto di capolavoro quando mi insegnò a leggere e scrivere prima che approdassi alle elementari, dove chiaramente feci un mega figurone sin dal primo giorno e, fattore decisivo, mi fece provare quel senso di casa che io non conoscevo e che tutti invece davano per scontato.

Non creerà sorprese quindi sapere che anche all'asilo il mio comportamento cambiò e Rossella e l'amor perduto evaporarono nel mio inconscio per tornare poi, letarghi dopo, a batter cassa.
Gli sforzi di tutti raggiunsero comunque un risultato: sembravo un bambino borghese normale, a norma, bello, intelligente e che rispondeva grazie a tutto.
E la cosa andava bene ai buoni che mi avevano raddrizzato, ai miei che potevano respirare un po', alle suore con le quali ripetevo l'Ave Maria come un chierichetto provetto senza sbagliare una rima, ai miei coetanei che non mi guardavano più come l'uomo lupo interagendo sorridenti e in quel momento, devo ammettere, anche a me.
E con la pace e l'armonia, la preghiera e il bon ton, arrivò anche il tempo di prendersi alcune rivincite.

L'eccitazione nell'aurea era palpabile e compulsiva perchè di lì a poco sarebbe arrivato l'Evento che non c'era sagra del Capriolo Incaprettato che tenga e che tutti aspettavano. Una cosa di cui, nel bene e nel male, si sarebbe parlato per un anno nei bar con battute fini ed efficaci, nei forni con recensioni competenti ispirate dalle rubriche dei quotidiani onde per cui, alla fermata del treno pendolare dove in dieci minuti, il Wikipedia dei poveri, ti aggiornava sulle ultime, nei giardini pubblici spolverati dal vento dove si valutava il costo di questo o quel costume e nelle botteghe del paesello dove invece si andava più a braccio ma efficaci e comunque sul pezzo.
Un'impresa che avrebbe impegnato le inesauste menti della borgata e coinvolto sarte, produttori, scenografi, poeti, parolieri, sceneggiatori e registi dai quattro angoli comunali sino alle più remote frazioni: la recita annuale.
Ed io ne sarei stato uno degli attori principali.
E dato che ero ben intonato fu deciso che avrei cantato.
E secondo voi che avete un Q.I. molto più alto del mio, che canzone gli facciamo cantare ad un bimbo in salute, capelli lunghi sotto le spalle, sempre vestito come un disadattato ma con un certo stile (che perpetuo ad oggi ma frutto allora della santa donna), con già un passato da dimenticare e ultimamente diventato pure buono punto interrogativo.
Ma è semplice punto esclamativo.
Una roba alla Nomadi.
Che a quei tempi, ricordo, andavano come il pane.
Ma non mi fecero cantare io vagabondo che son io (grazie a Dio), ma un blues un po' country garage alla Niel Young che tendeva al soul onirico di Marvin Gay ma con certe sfumature jazz che rimandavano alla 31 street di Charlie Parker, una spolverata dotta alla Battisti-Mogol, strizzata d'occhio al Califfo uno e trino e una smarmellata alla Nino Fidenco: Giacomino il ribelle.
Testi e musica di Ignoto.
Che poi a dir la verità dopo si seppe invece che era uno mezzo strullo che lavorava in Comune a non fare una ceppa tutto il giorno e che quindi trovava il tempo per cimentarsi con testi arditi e sopra le righe (di coca, presumo).

La santa donna, che aveva cominciato a fare la sarta, si superò e mi rivestì come uno scappato di casa alla moda fotocopia delle nuove stelle che si ammiravamo, oramai sdoganati, nei due miseri canali televisivi di allora.
Pantaloni con zampa di elefante a palla sul grigio topo, camicia con colorite fantasie psichedeliche, foulard becoming, capelli ben sotto le spalle sistemati dalla parrucchiera e chitarra sciancata a tracolla.
Fu un successone.
Pianse tutto il tempo come facevano le mamme brave allora, 'sto babbo gonfiò il petto come un macho di primo pelo cercando di prendersi tutti i meriti come per l'appunto fanno i bambini dell'asilo, le suore ringraziarono Iddio per il miracolo compiuto, il pubblico riconobbe con applausi scroscianti la mia performance artistica, Rossella mi sbatteva gli occhi matupita dalla mia indifferenza volutamente saccente, e io mi preparai ad esordire alle elementari con le carte in regola per eccellere tra gli eccelsi ma con un tarlo oscuro che piano piano si insinuava nella mia natura sicuro che lì avrebbe spadroneggiato per farmi emergere tra i belli, sfigati, perdenti, incazzosi, maledetti e a volte, con una volontarietà oltre l'arbitrario, dei pirla a palla.



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