lunedì 27 dicembre 2010

Tre Cavalli (liberamente tratto da "Thre Hours" di Nick Drake)




A suo tempo e a suo modo, questa canzone ha ispirato questo racconto.
Cosa ne è uscito fuori.
Fatemelo sapere.






La prima volta che Terzio sentì parlare dei Tre Cavalli portava ancora i pantaloni corti.
Era stata sua nonna davanti al caminetto nei gelidi doposcuola invernali o mentre lenta stendeva la sfoglia o confezionava le passate che gli raccontava le avventure di questi misteriosi ed affascinanti equini.
Le loro scorribande tra i prati sconfinati delle montagne su in alto dove sfidavano quei branchi di cinghiali “figli del Diavolo” senza paure e lupi ringhiosi ed affamati con le zanne “lunghe come l’avorio”.
Le peripezie tra i crepacci rocciosi dove avanzavano gareggiando in mezzo ad insidie e tempeste mentre le aquile dal “becco brutto” osservavano attente e pronte a colpire.
Della lunga corsa notturna sull’impervio costone sfidando il diluvio per accorrere in aiuto della vecchia madre dell’Arabo che volevano sopprimere in un ippodromo fin giù a Limola. In Perù.
Dei loro alleati Frà Daino Babbo Cervo e Istrice l’Arcera.
Che tra i personaggi minori di quelle favole era una che andava forte.
Di quando quel.

Al piccolo Terzio piaceva da matti star lì ad ascoltarla con quella voce antica ed incisiva che sapeva dar sempre un pathos e un lirismo struggente a quei racconti. E riusciva a supplire all’imposta ignoranza con una fantasia e una dialettica che avrebbe portato tanti bei dieci in pagella lo stesso.
Chiudeva gli occhi stringendo deciso la tazza di latte caldo come una spada guerriera e si immaginava mentre cavalcava il Sauro Bianco. L’Arabo Imperioso. L’Appaloosa Nero Inferno.
Ed anche alla Delia. Che era passata indenne in mezzo a due mondiali e ne aveva viste di belle e di brutte da non saper più discernere la realtà. Con la sua anonima crocchia color neve e il suo inseparabile scialle blu scolorito e quei due occhietti che sbucavano tra le lenti spesse amava inventar sempre nuove avventure per il suo giovane nipote. Un po’ gracile e poco adatto alla vita di campagna. Ma con una grande sensibilità.
Lo intuì da subito.

Quella che più lo aveva colpito ed appassionato era stata la fiaba dove il Sauro Bianco sfidava l’Orso Albino….E ad un certo punto. Mentre i tuoni del cielo sbarcollavano ogni cosa. Proprio quando il Sauro Bianco stava per soccombere. Gli spuntarono due poderose ali che si vibrò in volo e riuscì ad infilzare con una lingua di fuoco l’Orso Albino che….Di solito era verso questa punteggiatura che Terzio. Completamente avvolto dalla narrazione cambiava espressione da bambino a cavaliere. Si rintanava Lancillotto tra i piedi della nonna ed urlava un muori cattivo!
Era bello sentirsi un eroe.
Anche in mezzo a quei campi appisolati ad aspettare che qualche generoso sole li liberasse da quella coltre di neve. Anche se di draghi e di orsi là fuori non c’era traccia. Anche se non era vero.
Pensava poi la sera avvolto dal tepore improvviso del coltrone o dal calore secco e rassicurante del veggio.

Poi venne il giorno in cui il tempo dello favole finì.
E quando Terzio se ne accorse erano passati anni.
Quarantenne gracile e incurvato lavorava senza gloria in quella fabbrica dove si costruivano i capannoni. Che si chiedeva sempre tra se dove sono ‘sti capannoni? Lui vedeva solo blocchi di cemento dozzinali che consumavano le mani tra polvere cattiva e graffi velenosi.
Poi due ore dopo Terzio in mensa seduto un pò qua e un po’ là ad ascoltare in silenzio quei pacchiani discorsi sul commenda che si era fatto da solo e sull’altro che invece era fatto e basta.
Poi Terzio che lo prendevano per il culo un po’ tutti cercando di approfittarsene ed umiliarlo. Perché Terzio non si sa difendere altrimenti fareste meno i galletti! Apostrofava a fine turno Giannetto quei quattro vigliacchetti con la tuta blu. Un’icona dei quadri bassi prossimo alla pensione che forse e quasi incosciamente vedeva in quel giovane un pò spaurito un figlio. Che Giannetto aveva già moglie e tre figli sia chiaro. Tutti sposati e con dei buoni lavori. Due diplomati e una laureata. Caro mio.
Ma vivevan tutti in città e li vedeva di rado e giusto il tempo del pranzo abbondante e delle due chiacchiere e di qualche foglio fresco di conio allungato di nascosto dalla Bruna. Che il Giannetto non voleva ma lei era cuore di mamma sempre operativa. E lui vedeva che non era stupido. Ma invece di arrabbiarsi. Appoggiato alla cornice della porta del salotto buono quando tutti erano partiti e accendendosi l’ennesima MS morbida. Si sentiva quasi fiero. Erano sangue suo santiddio.

Terzio com’è andata oggi? Gli domandava poi nel piazzale della fabbrica a cartellino timbrato mentre si avviavano alle loro utilitarie. Così. È andata. Rispondeva con quello sguardo neutro e distante che gli davan tutti del mezzo matto per questo. Ci vediamo domattina concluse Giannetto.
No domattina no. Mi ha chiamato la banca per non so bene cosa. Ho preso quattro ore.
A casa seduto con la Bruna a cenare e a discutere di quando mi metti a posto il lavabo e a tirar di indovinare le domande dello Scotti iniziò improvviso a parlarle di Terzio. Che era preoccupato. Lo vedeva gracile e. Ma più che gracile abbandonato alla vita ecco. Forse dovrei fare qualcosa. Che ne pensi? Che poi la Bruna lo guardò e gli ricordò i tre figli ed i due nipoti in batteria ed una in arrivo che mollò sul pezzo la questione centrando l’ultima domanda. Che era troppo facile per 3mila euro Bruna dai!

Arrivato al casale Terzio salutò i due fratelli ed il padre che sua madre era morta da allora e si sedette a tavola. Parlavano di problemi e di cose brutte e tristi che a lui non piaceva per niente e svelto e improvviso sparì tra dovuti lavaggi e buonanotte a tutti.
Sotto la doccia di solito piangeva. Protetto dall’acqua bollente e avvolto nei suoi morbidi vapori.
Poi ben pulito si rintanava nella sua camera anonima ed essenziale e si infilava tra le coperte spesse e generose ma non sognava di belle donne nude che volteggiavano sul letto no. Sognava nonna Delia. Di quando gli raccontava le fiabe dei Tre Cavalli. Di quando sentiva che intorno nel suo mondo c’era anche Il Bene. Qualcosa di rassicurante. Di reale.
Forse il tempo delle favole era finito davvero chissà. Aveva sì i peli sulle gambe ed un lavoro “da uomo”.
Come sospirò felice la nonna il giorno che moriva mentre Terzio timbrava il suo primo cartellino da operaio. E il conto in banca e poi ogni tanto si toccava con poca passione immaginando indefinito.
Ma Zio Tasso e quei tre Pompieri Nani là fuori che bussavano alla finestra per catturare la sua attenzione. Raccontavano ogni notte tutta un’altra verità.

Due giorni dopo Terzio sparì.
Senza retorici biglietti o drammatiche telefonate.
Sparì e basta.
Giù in fabbrica i primi tempi non si parlava d’altro. Che si era ucciso. Che era finito in un brutto giro di prostitute rumene. Qualcuno osò dire persino che per me era un pedofilo e lo avevano beccato.
Poi come la collera di Dio improvvisa ed implacabile dai telegiornali diluviò la crisi globale. I nostri invidiati fighetti nelle Wall Street di tutto il mondo l’avevano combinata grossa stavolta. Per qualcuno definitiva.
E del Terzio. Del Gruppo 4 che non funzionava bene e di Giannetto che andava in pensione nessuno ebbe più tempo di parlare. Cassa integrazione. Licenziamenti. Precariato. Ecco. Di queste robe qui si riempirono i commenti delle tute blu da lì in poi.
E con cosa pasteggiavano Totti e Ilary a cena iniziò a fregare un po’ meno a tutti.

Anche se dopo un paio d’anni dalle confidenze di un cassiere pettegolo si seppe un po’ di verità. Qualche buon consigliere delegato dalla banca aveva suggerito a Terzio di investire quei due soldi in un affare sicuro e molto redditizio. Dei bound americani dei quali Terzio non conosceva neanche la disposizione geografica. Per non dire quella economica. E tutto questo tre giorni prima del disastro. Anche se quando quella mattina fu convocato in filiale per apprendere che i suoi soldi ( Mi scusi ma è lei che ha voluto rischiare) non c’erano più stranamente. Aveva raccontato il cassiere. Non si era arrabbiato ne dato in escandescenze ne promesso querele o vendette. Era rimasto chiuso in se stesso per un attimo e poi era uscito dalla banca in silenzio quasi sorridendo. Quando quel giorno Giannetto sentì nel bar del circolo raccontare questa storia tra spume al cedro e qualche frizzantino tornò a casa prima. Si chiuse in garage e si sedette sulla cassetta degli attrezzi.
E stringendo la testa tra le mani pianse lacrime antiche per un amico.

Dove vuole andare la mia principessa oggi? Al circo a vedere le tigri? Al cinema per i cartoni? Da Mec. Mac. Quello lì insomma? Chiedeva un Giannetto radioso a sua nipote Cleo. Sei anni. Che sua figlia Carla l’aveva voluta chiamare Cleopatra con il suo completo dissenso. Poi quando vide quei due occhietti azzurri su quei capelli neri legati a coda che sua madre ci teneva tanto pensò che in fondo la potevano chiamare anche Pollicina. L’avrebbe amata lo stesso.
No Nonno. Andiamo invece al parco qui vicino ad ascoltare L’Uomo delle Storie con gli altri bambini. Rispose lei già tutta eccitata. Giannetto deluse un pò. Voleva offrirle qualcosa di speciale per quei giorni speciali spesi dalla figlia in città che lui non ci stava bene per nulla. Troppo smog e troppo rumore la notte diceva. Ma moriva dalla voglia di vedere sua nipote. Carla lo prese sotto braccio e portandolo in cucina sorridente e comprensiva gli suggerì. Vai al parco con lei. È bello. Ne vale la pena.
Lungo il marciapiede mentre la teneva per mano indugiava sulla città cacciatore.
Non gli piaceva. Era abituato ai suoi tempi e ai suoi boschi e non gli piaceva cazzo.
Palazzi troppo alti. Troppe auto. Troppi semafori. Troppi stranieri. Troppo di tutto.

Appena arrivarono al parco Cleo lo mollò lì e corse festosa verso una panchina dove intorno ad un uomo seduto erano radunati molti bambini. Nonno tu stai qui con i vecchi! Gli urlò che un’altra nonna con 70/100dieci di pressione e i trigliceridi in fila per tre sorridendo lo invitò ad accomodarsi con lei. Mi scusi signora. Ma chi è quest’uomo. Un barbone? Mia figlia mi ha raccontato che vive tipo per strada. Esordì preoccupato Giannetto. La vecchia alzando gli occhi dal libro sorrise. Un barbone? Può essere una buona definizione. Da queste parti invece in molto pensano che sia un angelo. Qualcuno mandato dal cielo per far star bene i bambini. Prima di lui qui non c’era niente. Poveri ragazzi drogati e spacciatori dai contorni cattivi e basta. Continuò chiudendo il libro con l’intento di spiegargli bene la storia. Poi un giorno è arrivato lui e si è seduto su quella panchina. Proprio quella dove lo vede seduto ora. Ed ha cominciato a raccontare delle favole. All’inizio era solo. Poi si è fermato ad ascoltarlo un bambino. Poi tre. Poi dieci. Poi i bambini di tutto il quartiere. E infine si e sparsa la voce. Guardi che arrivano da tutta la città per ascoltare l’Uomo Delle Storie. Concluse sghignazzando nel vedere Giannetto un po’ perplesso da questo racconto. Non vive per strada. Gli diamo una mano un pò tutti quando ce lo permette. Dorme in uno scantinato del lattaio. Mangia alla mensa della Caritas e ogni tanto accetta qualche vestito. Ma non vuole soldi. Non ne vuole sapere.

Incuriosito Giannetto si alzò e scusandosi si avviò verso quella panchina. Era una bella giornata ed i raggi di sole si infilzavano tra i rami degli alberi come spade di fuoco. Pensò quasi sorridendo tra sé.
C’erano tantissimi bambini. Quell’indianina lì con la candela che andava su è giù dal naso mentre ascoltava completamente rapita la storia. I due maschietti rumeni un po’ magri e con gli occhi grandi che eran ben preoccupati per gli eventi della favola. Le sorelline tummistufi che avevano abbandonato i loro freddi giochi elettronici e si erano sedute con gli altri ad ascoltare rapite l’Uomo delle Storie. I gemelli di quella coppia simpatica ed attiva che vivevano proprio di fronte a sua figlia Carla. Quella bambina sorridente più in là che.
Poi quando fu quasi lì non credette ai suoi occhi. Era Terzio.
L’Uomo delle Storie era lui. Dio mio quanti anni! Era Terzio per davvero.
Vestito anonimo ma pulito e bene risultava dignitoso. I capelli un pò bianchi ed il viso più scavato ma sereno. Cristo se era sereno. Lo percepiva lui da lì. E poi l’aria. Non aveva più l’aria dell’operaio anonimo e dimesso che aveva conosciuto affatto. Dava più l’idea di un professore strano eccolo lì.

E mentre si avvicinava sempre di più iniziò a sentire una voce conosciuta che prendeva forma e che raccontava profonda e avvincente a tutti quei bambini sognanti…E ad un certo punto. Il Sauro Bianco si liberò e gli spuntarono due ali che vibrandosi nell’aria infilzò con una lama di fuoco…Fu proprio allora che in un silenzio studiato Terzio si girò e gli sorrise.
Lo aveva riconosciuto.
Giannetto non disse una parola. Prese stupito sua nipote tra le braccia e quasi commosso si sedette insieme a lei e a tutti gli altri bambini ad ascoltarlo.

E da allora nel parco di quel quartiere in mezzo ad altre Mille Storie si iniziò a narrare e a meravigliare anche della fiaba sul Vecchio Venuto Dai Castagni. Che in quel pomeriggio pieno di un sole “che brillava come l’oro zingaro”. Ascoltò dalla voce di un angelo seduto con la sua piccola nipote dagli occhi blu “come le onde del mare”. La più bella favola che avesse mai sentito raccontare in tutta la sua vita. Proprio quella dei Tre Cavalli. Che ignorando la bassezza/grandezza degli umani. Galoppavano incontro ad un destino che non era stato ancora scritto.

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