capitolo due
"Dell'asilo e
delle suore, per non dire dell'amore"
Poi il tempo delle pappe
infantili finì e iniziò quello delle novelle contemporanee.
Forse non tutti conoscono la
fake news di quel giorno piovoso dell'estate del 1968.
Mentre sul palco per
l'ultima esibizione di Woodstock stava salendo Jimi Hendrix per
scaraventare il rock vent'anni più avanti con quell'assolo di Span
Spangled Banner che smascherò l'inno americano davanti a quattro
gatti ma ghiotte telecamere in un oceano di spazzatura che svolazzava
per le hills, in un anonimo paesello degli appennini toscani un
piccolo marmocchio ameno e magro, sguardo da bel tenebroso, con i
lunghi capelli castani inselvatichiti dal blood in the wind e i jeans
Roy Rogers stropicciati bene saliva, trascinato in catene, le scale
dell'asilo.
Trascinato in catene,
ripeto.
Farà strano ma la leggenda
stavolta si squaglia nella realtà.
Io piuttosto che andare
all'asilo sarei andato a fare anche il lavapiatti a Manaus. Per dire.
Ma i Miei non sentirono
ragioni e poi ancora non avevo il passaporto.
Fu così che con un
grembiulino azzurro a scacchi bianchi (inguardabile) mi apprestai al
primo giorno e mi ritrovarmi nella perplessità incazzosa più
totale esuberato da bambini barra bambine che, le bambine con
tonalità rosa sfigate, piangevano senza remora aggrappati a
chichessia, con madri sovreccitate che entravano in trip agonistico
creando probabilità, imprevisti e incongruenze, con suore un po'
ansiose e a corto di battute da ma Don Matteo dice e
necessitanti di un paio di bicchierini di distillato e poi Lei.
Rossella.
Un pezzo di topa alta più
di ottanta centimetri.
Con un taglio di cosce che
non finiva più e un fisichino regolare e accondisceso.
Un caschetto nero notte
clandestina e una frangetta che mi rigirava le sensazioni dentro lo
stomaco.
Tette manco a parlarne, ma
che occhi celesti pieni di purezza!
Che celestiale estetica!
Lei figlia di un maresciallo
dei carabinieri tutto d'un pezzo (che ai miei tempi, come la Tina,
contava come l'asso di briscola e te lo ricordava ogni dieci minuti
con fare un po' mafioso e un po' democristiano) e io di due sfigati
qualunque e con delle idee molto malsane (sempre per il padre di cui
sopra) a proposito di autorità, gerarchie e la volontà di
rispettarle.
Sembrava come un'insipida
sceneggiatura che la cosa non avrebbe funzionato.
Invece fu amore a prima
vista.
Anche se per lei lo fu alla
seconda. A dir la verità.
La prima, dato che non mi
considerava con la dovuta trepidazione, con un macho sgambetto la
resi inerme a terra e fissandola serissimo e minaccioso le domandai
se voleva diventare mia moglie.
Secondo me non capì bene la
metafora, ma annuì immediatamente più per terrore che nobili
sentimenti.
Ma seppi farmi perdonare
poi, usando la dolcezza.
A dir la verità a quei
tempi non avevo molto chiaro il concetto di dolcezza.
Quindi nessuno mi giudichi
più di tanto se non ebbi miglior pensata di trascinarla nei bagni in
miniatura, di toglierle il grembiulino e pure il resto, e rimanere lì
bello fesso a fissarle tra le gambe quella minuscola fessura che non
si specchiava ma proprio per nulla nel baccellino che
ciondolava un po' ridicolo tra i miei cuccioli arti. Per lei non lo
so, ma per me fu un mezzo shock.
Ma queste disquisizioni di
genere non si svilupparono oltre perchè di botto la porta del bagno
si aprì e apparve suor Carla, che anche se era alta un metro e un
barattolo per noi bastava e avanzava.
Dallo spavento il primo
schiaffo che presi neanche lo ricordo.
Il secondo invece lo ricordo
bene. Come l'anatema che ne seguì: “Peccatore! Dio ti punirà!”
Fu uno scandalo che per i
tempi fece scalpore.
Il maresciallo per poco non
mi fece prelevare dalle teste di cuoio e trasferire ad Alcatraz, i
miei genitori aggiunsero altri tre schiaffi per rimanere in tema
creando un abisso emozionale che ad oggi non si è più cicatrizzato,
i miei compagni di gioco iniziarono a guardarmi come l'uomo lupo e le
suore inserirono il mio nome tra i papabili per una sessione o più
di cilicio e sangue.
Già, le suore.
Il battaglione nemico
contava un esercito di tre marines che guerreggiava sul campo ed una
colonnella a impartire ordini comoda ma molto decisionale
su ai piani alti, nell'inviolabile ufficio che se ti convocava lì
eran cazzi a prescindere, e applicavano un gioco a zona molto
efficace con un raddoppio di marcatura asfissiante che poi il
possesso di palla l'avevan sempre loro alla fine.
Devo aggiungere che la madre
superiora, anche se andavamo sulla Luna e per il Datismo da terzo
millennio, per me rimaneva un'entità mitologica come il Minotauro e
Dio, per l'appunto.
Non so neanche se allora
l'ho mai vista e dubitavo fortemente che esistesse davvero. Si
consolidava l'idea, supportata dagli sviluppi della quantistica e dai
primi avvistamenti UFO, che in realtà fosse un extraterrestre che ci
usava come cavie per misteriosi esperimenti, e nei miei confusi
ricordi frange catto-comuniste mi bisbigliavano che si nutriva di
eretici e peccatrici, e conscio che True Detective Pizzollato non lo
aveva ancora sceneggiato, prendevo tutto per buono e mi tenevo in
disparte perchè non si sa mai.
Di sicuro l'ala dura dei
fedeli la sostenevano nel suo oscurantismo inquisitorio mentre i
compagni del paese la
inquadrarono come il nemico pubblico da barricate in contumacia.
Io, che gli Dei mi perdonino
e come avrete capito, invece ne avevo solo paura, sentimento questo
che avrebbe marchiato a fuoco il mio approccio alle religioni per i
prossimi diciotto eoni.
Va da se che dopo diversi
anni non solo scoprii che invece esisteva ed era in carne ed ossa, ma
ridiventò femmina, lasciò l'Ordine, iniziò a vestirsi alla
moda e sposò l'ex sindaco comunista del paese in un crescente
scandalo socio/catto/politico che fu zittito, dicono, un po' grazie
alla bizzarria delle cazzate comuniste di Stalin e un po' alla
bizzarria delle cazzate delle Scritture, che trovarono per
l'occasione un connubio dottrinale studiato ancora oggi dagli
antropologi di tutto il pianeta.
Con un Dio muto. E uno
Stalin visibilmente adirato.
Suor Carla invece era un po'
il Tardelli della situazione senza l'esuberanza fisica del
centrocampista dato che era alta 142 centimetri. Ma solo se indossava
tacco 12. Altrimenti veleggiava sui centotrenta.
Per capirsi, a far femori in
nome di croci e vergini ci poteva stare, si adoperava con perizia da
trapattoniano opus dei, con ogni probabilità trovava persino una
scusa vendibile ogni palla persa (vedi
cazzate a bocca piena) che usciva dalla bocca del priore di
turno che beveva troppo e che tutti lo sapevano ma nessuno lo doveva
dire sennò è peccato. E ne aggiustò tante che nessuna mai
rinfacciò.
Ma non aveva la cattiveria
agonistica del mediano con il fiuto del gol.
Era più un De Rossi che non
ce l'aveva fatta, ecco.
Ma in fondo in fondo era
buona e con un cuore buono.
Peccato solo che facesse la
suora. Questo la limitava tanto.
Parlo serio.
Parlo serio.
Era nata in un nord-est
lontano dall'illusione Padania e ad oggi rimane un mistero sul perchè
prese i voti.
Forse troppo bassa per gli
standard post-fascisti di allora, forse la classica delusione
d'amore, che accomunava il 90% delle vocazioni di quegli anni,
forse e più semplicemente la paura dell'amore.
Non lo so. Ma suor Carla è
stata una ganza alla fine dai.
E ancora oggi, che manco so
se è viva o meno, la ricordo ad ogni equinozio con un doppio rum.
Suor Franca invece veniva
dal sud calabrese e sovrastava suor Carla giusto per un tennistico
net.
Ma non certo in dialettica
ma solo per faccende di innocui centimetri per cui lei, che giù
aveva appreso la vocazione e l'omertà che sennò dio non ti
aiuta, schiva ma con un aurea mistica al peperoncino, assecondava
tutto come un affiliato fedele.
In quegli anni di asilo l'ho
sentita bisbigliare ventisei parole, di cui otto in falsetto e le
altre in calabrese parecchio stretto.
Praticamente un mistero pari
ai cerchi nel grano.
Però, perchè in un ordine
di suore c'è sempre un Ma obbligatorio che tutte fanno finta di
rispettare e un Però assolutorio che invece si manifesta, all'asilo
cucinava lei.
E, che da lassù la
Sora Lella mi perdoni, cucinava davvero da Dio.
I suoi sedani rigati al pomodoro se la
giocherebbero ancora al giorno d'oggi in scioltezza e senza
presunzione con il bollito-non bollito-ma quanto cazzo costa 'sto
bollito di Bottura e gli scampi alla fava verde di Kripton con teste
di vipere argentine stufate tagliate in ottangoli e a luna piena di
Borghese.
Comunque, sarà perchè
sarà, sarà perchè e per come, ma come sunto dei miei quindici anni
di ristorazione spesi in patria e in giro per il Mondo nella mia
dispensa troverai, nel mezzo di lenticchie, basmati, uova, capperi e
verdure del momento, gli immancabili sedani rigati.
E te li saprò cucinare nei
più svariati modi cercando, ancora oggi che son passati
cinquantanni, l'equilibrio perfetto dei sui sedani rigati al
pomodoro.
Invano.
E poi c'era lei.
La Maradona dell'istituto.
La fantasia, l'anacronismo,
l'apoteosi.
Suor Celina.
Un mito già dal nome.
Suor Celina è e rimane
qualcosa che manco Joice e Milton hanno provato soltanto a
ipotizzare.
Nessuno gliene faccia una
colpa quindi ma solo privilegio se a quei tempi, a differenza di
questi tempi spenti, il vin santo che poi sarebbe
diventato nelle eucaristie il sangue di Cristo lo gestiva lei.
E non era una roba come al
giorno d'oggi che arriva uno psicopatico del Bartolini a portartelo.
Veniva il contadino. Anzi,
venivano i contadini della zona a portare bottiglioni di quel buon
fermentato che di lì a poco, se tutto andava a modino, sarebbe
diventato sangue.
E credetemi, star lì a
decidere quale vin santo fatto con passione, competenza e motivazione
fosse il più adatto a diventare il sangue di Cristo era un
lavoraccio.
Sul serio.
E finirla ubriaca a norma di
legge etilica era un attimo.
Ma lei non si tirò mai
indietro con una devozione piena di impegno e cristiana compassione
che qualcuno sussurra che la madre di Calcutta, quella famosa,
per fortuna morta e parecchio chiacchierata, si ispirò palesemente
ai suoi deliri mistico-alcolici.
E con successo pare.
E con successo pare.
E a quello che sappiamo ad
oggi nessuno ha mai, ripeto mai, messo in discussione le sue scelte e
il suo vin santo che, ad ogni domenica ciclica come il mestruo,
diventava il sangue di Cristo nelle sfintere del prete di turno come
per magia e a sberleffo delle quote Snai.
Aggiungendo che anche
Wikipedia non riporta nei suoi aggiornamenti alla data odierna alcun
catto-comunista che ha posto dubbi su
il miracolo di suor Celina, anche
se al mio paese, i catto- comunisti hanno comandato dal dopo guerra
ad oggi dimostrando al Pianeta intero e alle Galassie limitrofe che
le panzane di sinistra e dei preti sono solo pericolose panzane di
sinistra e dei preti.
Ed hanno accettato senza
citare Marx e San Tommaso perché manco sanno chi sono, con una
passione quasi erotica aggiungerei, che il vin santo selezionato da
suor Celina poi diventava il sangue di uno morto inchiodato e
che è poi risorto. Anche se nessuno di loro sa di preciso come
sarebbe andata dopo.
E se mi è permesso, per
concludere e senza disturbare troppo la sensibilità di cattolici e i
comunisti della domenica e zone limitrofe, io a questa cosa del vino
e del sangue, ad oggi, mica ci credo mica.
Io credo solo alla
moltiplicazione dei pesci.
Del grande Dynamo.
Ma torniamo alle cose belle.
Le mie delusioni d'amore.
Io a Rossella mica la volevo
mollare così eh.
Quindi gli schiaffoni,
l'ostracismo della Superiora imbeccata da quel demente del
maresciallo, le altre suore sinceramente preoccupate per il mio
avvenire, la santa donna ad un centimetro dal collasso e la
nomenklatura che mi aveva eletto a un Vallanzasca in miniatura
non mi fermarono ma manco per niente.
L'amore avrebbe trionfato.
E infatti trionfò.
Trionfò così tanto che
fuggii dal negozio dei miei genitori verso il crepuscolo in un
anonimo mercoledì sera di ottobre che in giro non c'era un cane
neanche a dargli gratis gli ossi.
Arrivai nella piazza vecchia
del paese sotto la fontana con le teste di leone che sputavan acqua,
mi sedetti ai piedi della suddetta che si protocollava al civico 6
(che era quello degli sbirri) forse pregando, forse pensando, forse
chi sa, e aspettai un segno d'amore della mia Dulcinea Del Toboso.
Invano.
Tuttavia se il segno
dell'amore non trovava esamina nei contesti dell'ordinarietà, il
buio faceva il suo inesorabile corso, e si affacciava l'oscurità.
Fu così che dopo un tempo
non definibile nel mio cuore di sbarbo, arrivò mio padre insieme al
maresciallo che mi cercavano da un paio d'orette abbondanti dopo aver
messo mezzo paese in subbuglio per la mia scomparsa prematura.
Quindi può essere limpido e
chiaro ai più che quando mi trovarono rannicchiato pieno d'amore e
mi dettero due schiaffi, uno un pò per paura e uno un po' per
rivincita ma solidali stavolta, il risvolto che si intreccia tra la
metafisica scenografica del padre che fa il bravo educatore e lo
sbirro che fa il bravo educatore fu devastante.
Mi ritrovai chiuso in camera
senza cena e gli occhi pieni di lacrime circondato da un Vuoto
Assoluto che percepivo nella testa, nel cuore, nello stomaco, in quei
cazzo di 7 chakra ma molto più nettamente nell'Aura Sciamanica e
nell'Ancestrale Disegno Cosmico (che non so che cazzo siano ma dà
l'idea).
Continuavo a rivedere il
viso di Rossella e i suoi grandi occhi celesti che mi giudicavano
non degno.
Successe qualcosa in quel
momento che trent'anni dopo di solito segnano la tua catastrofe
emozionale, la tua nemesi finanziaria e, in ascetica escalation, la
fortuna economica e professionale di psicologi e psichiatri.
Ma non fu il mio caso in
questo caso.
Perchè sopravvissi.
E chi sopravvive è
pericoloso.
E può essere dannatamente
incisivo nel suo obbiettivo successivo.
Si sappia comunque, senza
gli assoli blues di Page che mi sciolgono come un cioccorì tenuto
troppo in mano a ferragosto, che da quel giorno qualcosa si ruppe
definitivamente dentro di me.
Qualcosa che si sarebbe
manifestato poi in seguito tra storture emozionali, scompensi
psichici, opportunità mandate al macero, safari un po' tossici nel
subconscio e sfortune ordinarie che andarono ad aggiungersi al coro
creando uno tsunami sensorio che non lasciò prigionieri nei
pischelli perimetri del mio Io in panne.
Ma la disillusione sul lady
love concept, il genere femminile nello specifico e tutte le
panzane correlate fu la più cruciale e depredante.
Fu come se da quel momento
in poi le mie prerogative d'amore sarebbero partite da un'amarezza
irrefutabile senza se e senza ma. Fu come se da quell'istante in poi
la necessità di un tampone emozionale mi avrebbe sovrastato
gagliarda cercando di aiutarmi ad ammainare la bandiera bianca che
sventolava tra le macerie, per ritrovare un briciolo di dignità nel
bagno di sudore e sangue che era l'Amore.
Ed io nel tempo mi sovrastai
e mi dignitai di comprendonio e presagio energetico con un
approccio molto olistico, determinato ma più che altro virile alla
Cosa, e inconsciamente iniziai ad elaborare, arrivato al
sommo, la mia lucida vendetta nei confronti di Rossella e il genere
femminile in toto.
La mia sete si sarebbe
diffamata al loro Grande Dhrama, al loro Big Tabù,
alla loro Waterloo che invece sarebbe stata per me che ho
sangue Acheo e Sioux una Little Big Horn: Il Sesso.
Ma di questo ne parliamo
nelle pagine successive. Quando sarò cresciuto un po'.
Questa è una biografia di
un coglione di successo, mica un film porno.
Mio malgrado furono comunque
presi dei seri provvedimenti per ridurre almeno i danni dell'essere
agitatore fuori dal coro e con degli scompensi affettivi che Jim
Morrison in confronto sembrava Fonzie.
Si cercarono soluzioni
definitive per questo marmocchio che osservava con lo sguardo puro
il mondo come in un cartone animato ma che nell'Io era già un cane
bastonato che era scampato alla fine, un bastardo randagio con pochi
denti ma tinto male, in giro a non sentir ragioni delle regole
imposte e classismi della prima ora, oltretutto in uno dei periodi
più stupidi -parlo del '68
in un paese di 3000 anime catto-comuniste di un'ipocrisia senza pari-
che ti poteva capitare.
Dopo il Concilio di Trento o
il dibattito sul film di Nanni Moretti in piazza, chiaro.
Dovevo rientrare nei ranghi
e rimesso in riga come dio comanda e sezionato, con lo scrupolo e la
delicatezza del Mossad, sul curricula, i precedenti penali, i casi
pendenti e stilare l'elenco delle patrie galere che di sicuro in un
futuro prossimo mi avrebbero accolto a braccia aperte.
Intanto fu deciso che non
potevo rimanere da solo quando non ero all'asilo e non potevo più
andare in giro per il paese a caccia di fate e elfi per ore senza che
nessuno sapesse dove fossi e cosa stavo combinando.
Avete capito bene vero?
Avevo quattro anni e mi
muovevo come un adolescente.
Credo con nozione che quel
periodo lì è stato davvero incredibile. La bestia buona che
sono diventato ad oggi nacque lì. Erano gli anni sessanta e in un
paesello queste cose non facevano molto scalpore morale e men che
meno educativo. Ero solo un piccolo bambino che passava molto tempo
da solo, lontano dai grandi e dai coetanei, come un sociopatico
qualunque.
Presumo che nel mondo
attuale sarei in affido e i miei genitori con un bel penale in corso.
Comunque, la soluzione fu
trovata: la Nella.
La Nella non era una baby
setter, non era un'educatrice, non aveva titoli di studio se non
qualche classe elementare, non si vestiva radical chic, non parlava
radical chic e non gigionava a leggere inutili saviani in voga,
sbagliava sempre l'acca sulle vocali e votava democristiano perchè
lo intimava il prete.
Ma è stata una donna
meravigliosa. Una delle più importanti della mia vita.
Non so come nacque la cosa,
ma dalla sera alla mattina mi ritrovai che quando uscivo dall'asilo
andavo da lei che viveva lì vicino ed era una casalinga.
A quei tempi essere la
Nella casalinga voleva dire: alzarsi alle 6, pulire la casa,
lavare per marito e minimo due figli, stirare per il plotone di cui
sopra, far la spesa in paese e risparmiare all'osso, far da mangiare
continuando a risparmiare su tutto, accudire galline e conigli prima
di tirargli il collo dietro casa, gestire l'orto per il fabbisogno
della dinastia tirandoci fuori un bengodi che oggi non esiste
proprio, spettegolare rigorosamente sottovoce dal terrazzo con le
altre dell'ultima diceria facendo poi le espressioni tra lo stupore e
l'indecenza, trovare tre volte al dì dieci minuti per pregare
sommessa 'sto dio che non ci sentiva troppo bene da quell'orecchio,
uncinettare semplici macramè per creare presine da pentole che
qualche settore terziario pagava un centimetro sopra la miseria e, da
quel momento in poi, guardare questo piccolo strano animaletto
che viveva in un mondo tutto suo.
Non so lei, ma io me ne
innamorai subito.
La Nella confezionava delle
marmellate che certificavano l'esistenza di Dio, Maometto e l'Uomo
Ragno.
Ti faceva trovare sulla
spianatoia della pasta fatta al mattarello in venti minuti che Cracco
se ne va a cagare per principio.
Riempiva e seduceva le tue
papille gustative con dei fantastici dolci realizzati con gli avanzi
che oggi volano nell'organico, roba che questi invertebrati che
straparlano
della
gastronomia in TV non saprebbero neanche immaginare.
Ogni martedì partoriva un
sugo di carne che resuscitava i morti, neutralizzava i vampiri, i
cattivi pensieri e faceva sentire tutti più buoni e umani.
E poi mi raccontava le
novelle con passione e coinvolgimento inventandole di sana pianta e
usando come termometro il mio umore giornaliero -una roba di una
finezza eccelsa-, mi fece vedere come si uccide e si spella il
coniglio che adoravo quando lo faceva arrosto con il finocchio
selvatico, che sembra un gesto crudele e insensibile ed invece, con
uno slancio pedagogico innovativo e intelligente senza precedenti,
soltanto la realtà oggettiva che non va mai nascosta ma manifestata,
spiegata e illustrata.
Poi casomai decidi tu cosa
fartene di questa realtà.
Annichilì il concetto di
capolavoro quando mi insegnò a leggere e scrivere prima che
approdassi alle elementari, dove chiaramente feci un mega figurone
sin dal primo giorno e, fattore decisivo, mi fece provare quel senso
di casa che io non conoscevo e che tutti invece davano per
scontato.
Non creerà sorprese quindi
sapere che anche all'asilo il mio comportamento cambiò e Rossella e
l'amor perduto evaporarono nel mio inconscio per tornare poi,
letarghi dopo, a batter cassa.
Gli sforzi di tutti
raggiunsero comunque un risultato: sembravo un bambino borghese
normale, a norma, bello, intelligente e che rispondeva grazie a
tutto.
E la cosa andava bene ai
buoni che mi avevano
raddrizzato, ai miei che potevano respirare un po', alle suore con le
quali ripetevo l'Ave Maria come un chierichetto provetto senza
sbagliare una rima, ai miei coetanei che non mi guardavano più come
l'uomo lupo interagendo sorridenti e in quel momento, devo
ammettere, anche a me.
E con la pace e l'armonia,
la preghiera e il bon ton, arrivò anche il tempo di prendersi alcune
rivincite.
L'eccitazione nell'aurea era
palpabile e compulsiva perchè di lì a poco sarebbe arrivato
l'Evento che non c'era sagra del Capriolo Incaprettato che tenga e
che tutti aspettavano. Una cosa di cui, nel bene e nel male, si
sarebbe parlato per un anno nei bar con battute fini ed efficaci, nei
forni con recensioni competenti ispirate dalle rubriche dei
quotidiani onde per cui, alla fermata del treno pendolare dove
in dieci minuti, il Wikipedia dei poveri, ti aggiornava sulle ultime,
nei giardini pubblici spolverati dal vento dove si valutava il costo
di questo o quel costume e nelle botteghe del paesello dove invece si
andava più a braccio ma efficaci e comunque sul pezzo.
Un'impresa che avrebbe
impegnato le inesauste menti della borgata e coinvolto sarte,
produttori, scenografi, poeti, parolieri, sceneggiatori e registi dai
quattro angoli comunali sino alle più remote frazioni: la recita
annuale.
Ed io ne sarei stato uno
degli attori principali.
E dato che ero ben intonato
fu deciso che avrei cantato.
E secondo voi che avete un
Q.I. molto più alto del mio, che canzone gli facciamo cantare ad un
bimbo in salute, capelli lunghi sotto le spalle, sempre vestito come
un disadattato ma con un certo stile (che perpetuo ad oggi ma frutto
allora della santa donna), con già un passato da dimenticare e
ultimamente diventato pure buono
punto interrogativo.
Ma è semplice punto
esclamativo.
Una roba alla Nomadi.
Che a quei tempi, ricordo,
andavano come il pane.
Ma non mi fecero cantare io
vagabondo che son io (grazie a Dio), ma un blues un po' country
garage alla Niel Young che tendeva al soul onirico di Marvin Gay ma
con certe sfumature jazz che rimandavano alla 31 street di Charlie
Parker, una spolverata dotta alla Battisti-Mogol, strizzata d'occhio
al Califfo uno e trino e una smarmellata alla Nino Fidenco: Giacomino
il ribelle.
Testi e musica di Ignoto.
Che poi a dir la verità
dopo si seppe invece che era uno mezzo strullo che lavorava in Comune
a non fare una ceppa tutto il giorno e che quindi trovava il tempo
per cimentarsi con testi arditi e sopra le righe (di coca, presumo).
La santa donna, che aveva
cominciato a fare la sarta, si superò e mi rivestì come uno
scappato di casa alla moda fotocopia delle nuove stelle che si
ammiravamo, oramai sdoganati, nei due miseri canali televisivi di
allora.
Pantaloni con zampa di
elefante a palla sul grigio topo, camicia con colorite fantasie
psichedeliche, foulard becoming, capelli ben sotto le spalle
sistemati dalla parrucchiera e chitarra sciancata a tracolla.
Fu un successone.
Pianse tutto il tempo come
facevano le mamme brave allora,
'sto babbo gonfiò il petto come un macho di primo pelo cercando di
prendersi tutti i meriti come per l'appunto fanno i bambini
dell'asilo, le suore ringraziarono Iddio per il miracolo compiuto, il
pubblico riconobbe con applausi scroscianti la mia performance
artistica, Rossella mi sbatteva gli occhi matupita dalla mia
indifferenza volutamente saccente, e io mi preparai ad esordire alle
elementari con le carte in regola per eccellere tra gli eccelsi ma
con un tarlo oscuro che piano piano si insinuava nella mia natura
sicuro che lì avrebbe spadroneggiato per farmi emergere tra i belli,
sfigati, perdenti, incazzosi, maledetti e a volte, con una
volontarietà oltre l'arbitrario, dei pirla a palla.
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