capitolo tre
"La
disillusione della scuola, la magia del sapere
e l'anarchia al potere"
La mia carriera scolastica,
breve ma incisiva, ha conosciuto vette e picchiate che solo la bulle
du Mississipi del 1720 che fu il primo disastro finanziario di quella
che poi sarebbe diventata La
Borsa, lo sgarro della
CIA quando l'11 settembre autorizzò, facendoselo poi scappare di
mano in un attimo, quel disastro cinematografico delle Torri e
l'eliminazione dai Mondiali russi della Nazionale hanno saputo
superare in grafici disastrosi lasciando persino traccie più incise
del sottoscritto.
Come il canovaccio della mia
vita ad oggi sono partito benissimo ed entusiasta eccellendo sulla
plebe mia pari da subito, ho sintonizzato una pax sociale che
accontentava tutti, o gliel'ho data a credere, e quando quelli della
mia cerchia oramai
erano persuasi che sarei diventato qualcuno e
il volgo annuiva convinto, ho mandato tutto a puttane nei
canonici tre mesi a me molto congeniali come tempistica e effetti
collaterali.
In toto ho frequentato, con
gloria, pagelle fluorescenti e, in tutti i sensi, guerre di classe:
-Elementari
-Scuole medie
-Istituto di ragioneria (un
anno)
-E poi diritto in fabbrica
Ma partiamo dall'inizio e
chiariamo subito un punto.
Ai miei tempi le scuole
erano un'altra cosa rispetto ad oggi.
Oggi uno se vuole va a
scuola, spaccia nei bagni e nella ricreazione, spinella senza
un domani, se c'è tempo fa sesso con la sbarba dai capelli turchini
e quando rientra in classe da due scappellotti al prof e posta il
video sui social.
Nel '70 c'erano delle
gerarchie un attimino più rigide.
L'insegnante era
un'Istituzione a tutti gli effetti, anche se capitava, eccome!, di
parlare di cinici umanoidi senza dignità e presidi in odor di
pedofilia, ma un bidello qualunque valeva un appuntato dei caramba
anche se diverse miglia sotto il farmacista. I compagni di scuola più
grandi potevano tranquillamente abusare di bullismo e maschilismo a
piene mani nell'impunità più totale questo è vero, anche se poi
tutto era bollato come in buonafede o
comunque ragazzate, e quindi l'aspetto pedagogico ed i
protocolli sociali erano, visti con gli occhi digitali di oggi,
obsoleti, patetici, retorici e dannatamente pericolosi per la salute
dell'alunno in vena di Sapere ma senza santi in Paradiso ne tessera
di Partito. Ne consegue che se avevi un minimo di senso esegetico e
un po' d'amor proprio uscivi da lì con l'idea che fosse tutta una
merda.
Poi uno arriva al giorno
d'oggi e scopre che la scuola fa più schifo di allora, che i prof
fanno per lo più cagare come allora e chi ci prova ad essere
migliore lo fottono, che gli alunni sono stronzi poco più di
ieri e i genitori li giustificano pure, e che l'Homo Sapiens
medio del prossimo millennio sarà un ignorante di proporzioni
bibliche, vivrà con il cervello infilato dentro uno schermo da due
pollici in un mondo digitale di cui non conosce, sicuro del
contrario, nulla ma proprio nulla, e tutti vivranno con la sensazione
che i suggerimenti di Google e i post di Facebook
siano il terzo segreto di Fatuma.
Fino alla catastrofe,
chiaro.
Altra questione.
Malgrado i tempi
economici di questa splendida era siano cambiati
condizionando le scelte arbitrarie più banali, c'è qualcosa che non
torna.
Per esempio, io vivevo in un
paesello di tremila anime dove c'erano tre sezioni sia alle
elementari che alle medie tutte belle rimpinzate di alunni.
Sarà quindi una
banalizzazione forse, ma a differenza di oggi, a quei tempi, del
benedetto accoppiamento e tutte le sue implicazioni riguardanti
inutilmente amore, onore, coppia e matrimonio se ne chiacchierava
poco e sottovoce ma si praticava di più.
E anche se
quell'accoppiamento era sempre contestualizzato
nell'innaturalezza della monogamia, tutto funzionava perché
unanimemente accettato come condizione naturale.
Fuori dai quei recinti tutto
diventava, per la disperazione dei più e per la gioia di alcuni,
esplicito peccato.
Nell'epoca attuale,
quell'evoluzione lì, si è arenata sul concept coppia
e nel parlare sempre di consapevolezza di pariglia e erotismo
correlato da sopra e da sotto, di disinibizione e tabù, delle nuove
frontiere di orgasmi vaginali e perianali, della consapevolezza del
corpo e i benefici del sexy toy, delle coppie aperte, quelle timide e
quelle spalancate, della patetica e molto discutibile effige del
meetoo, del farlo etero, gay, bisex, sadomaso soft o -rivendicandone
poi persino la privacy senza vergogna come una zittella di mezza età-
con qualche fascista potente di turno come la compagna Luxuria, che è
diventata niente di più -e a spese nostre- la Orfini dei
transgender.
Ma quando si arriva al
dunque, tutti/e pretendono quella monogamia irrazionale che li
riscaraventa al periodo d'oro di Bobby Solo. Che poi è il posto
da dove sono evaso io.
Ed è di rilevanza
antropologica che oggi al mio paese fanno fatica a metter su un paio
di classi e se questo succede ringraziano i Mutu e i Ganesha.
Non si fanno più figli ma
tutti continuano a menarla con la monogamia e con il suo valore
intrinseco dando unanimi la colpa della sterilità ai tempi
incerti, al buco dell'ozono e all'olio marocchino.
Quando oramai è palese ed
eclatante il fallimento dell'esclusività sentimentale con annessi e
connessi.
Comunque. Come ricorderete,
sapevo un po' leggere, scrivere e far di conto.
Aggiungiamoci pure che in
qualche maniera il mio lato selvaggio era stato domato e
interiorizzato quanto bastava per passare per un bravo bambino, e
come risultato avremo che fu un gioco da ragazzi diventare uno dei
coccoli della maestra, essere benvoluto da tutti e far la parte del
capoclasse come un attore navigato conquistando cuori femminili di
bimbe autoctone del paese fino a quelle delle frazioni.
A dir la verità, checché
la racconti, non ho molti aneddoti nei miei ricordi di quel periodo
malgrado fossi grandicello. Spezzoni vaghi. Frammentati. Un
bel dieci in italiano per il tema su “racconta il tuo paese” dove
non solo esponevo sensazioni e concetti, ma feci un solo errore
grammaticale dimenticando un'acca su una vocale un po' come la Nella
che quando la vidi cerchiata in rosso per poco non bestemmiai.
Il maestro della sezione B
che ad un mio amico, nell'impunità più totale, lo chiamava alla
cattedra per fare l'imitazione e il verso del barbagianni umiliandolo
divertito, dello scoprire che lo sport mi appassionava e iniziai, con
ottimi risultati, a giocare a calcio, a sciare, a tirar di tennis e a
nuotare con stile. Del disagio misto alla lusinga da maschio
che iniziavo a provare per l'attenzione delle mie coetanee ma con
Rossella tarlo nella testa, anche se ancor per poco. Della maestra,
la Bargigli, che era una zittellona un po' bassina e in gamba, con
una morale dignitosa, che amava i distillati a dovere, intelligente
per il periodo e efficacemente sarcastica fino al cinismo senza mai
strabordare e che ci preparò tutti al meglio per il futuro prossimo
che ci aspettava. Del gusto che provavo a scrivere e a leggere,
mentre far di conto mi è sempre stato di traverso. Di come stessi
vivendo un momento storico che doveva cambiare il mondo ed invece ne
segnò soltanto l'inizio della fine. Della mia sgangherata famiglia
rinchiusa in quella maledetta bottega a pagare i debiti e di un
piccolo ragazzetto con i capelli lunghi che si preparava per le
scuole medie con tanti dubbi e nessuna certezza, ma determinato a
vincere iniziando dall'oblio degli esami finali che mi premiarono,
tra le lacrime della santa donna, con una pagella che strabiliava chi
chessia.
Le scuole medie sono state
però il mio paradiso accademico.
Se superati i cinquanta mi
hanno pubblicato report e riflessioni trattato quasi come un
intellettuale, se il mio blog di viaggi e cazzi miei nel suo
splendore contava più di diecimila contatti, se il libro sulla mia
esperienza in Kenya non ha riscontrato vendite ma apprezzamenti
meravigliati da tutti e se adesso sto scrivendo un best seller, le
basi, a differenza delle vostre inutili lauree, sono nate in quei tre
anni lì.
Poi, accademicamente
parlando, il buio. Ma ben conscio della qualità della farina del mio
sacco.
Intanto, lo dico per gli
innumerevoli invidiosi, ero nella sezione A.
A quei tempi la sezione
segnava un po' anche il tuo futuro scolastico, sociale, morale e
scopereccio.
Ce ne erano tre.
Secondo una cinica legge non
scritta di allora nella A andavano i più bravi e quelli raccomandati
tipo il figlio del farmacista e del maresciallo che sarebbero poi
finiti al Classico o allo Scientifico.
Nella B quelli bravini e
quelli bravi che avevano dovuto lasciare il posto ai raccomandati di
cui sopra che sarebbero poi andati a Ragioneria o a Segretaria
D'azienda.
Nella C i capoccioni che poi
smettevano trovandosi un lavoro o andavano al Tecnico.
Fa un po' ridere e un po'
incazzare raccontarla così ma funzionava davvero così.
E comunque non stupisca. Era
solamente l'antefatto delle basi programmate di quel Classismo
che ci attanaglia dal Medioevo e che fino ai giorni d'oggi non ha
trovato soluzioni ma solo tumori e cancrene.
Poi hanno scoperto che
l'aspettativa di istituzioni e familiari poteva essere disattesa con
trent'anni di ritardo chiaro. Che c'era una sana possibilità di
ritrovarti il capoccione che con un paio di sbalorditivi steep saliva
di grado. E che non era insolito incontrare poi coetanei che
erano in C e adesso sono ingegneri spaziali e bischeri come me che
erano in A e oggi sono mediocri operai, oltre che mediocre persone.
Ma le leggi sociali di allora erano queste e anche se puzzavano di
fascismo fino a là, andavano bene a tutti. Compagni compresi, dato
che al mio paese erano tutti comunisti tirati a lucido.
Per la prima volta avrei
avuto diversi professori e professoresse sui quali giravano leggende
e aneddoti da far impallidire il Batman.
Qualcuno sosteneva che
quella di matematica della C era una strega che ballava nei
boschi nelle notte di luna piena succhiando sangue ai pipistrelli.
Altri che quello di Italiano in B mangiava per le festività i
bambini poveri. Affermazioni queste che creavano distonia e tensioni
tra i favorevoli a prescindere e chi le marchiava come una cazzata
fotonica.
A parte quella sul bidello
che faceva la cresta sulle pizzette che ci ordinava per la
ricreazione.
Ecco, quella a dire il vero
trovava concordi in maniera trasversale anche i più onirici e i
razionali.
Ma per lo più erano
scemenze.
Per quanto mi riguardava la
formazione dei professori scendeva in campo con:
-Il professor Morrone. The
Master.
Il Professore
era quello più importante: Italiano.
In due lezioni arrivai quasi
alla venerazione. Come insegnante e come uomo. Vecchio democristiano
benestante e di ampia cultura, sapeva interagire con tutti dal
recinto di una borghesia agiata e un po' annoiata. Forse per questo
era sempre a fare il cascamorto con quella di Disegno, e secondo me
c'avevano pure una tresca clandestina.
Fu lui che mi iniziò alla
poesia e alla lettura insegnandoci a recitare La Divina Commedia e ad
analizzare Calvino e a spingerci a ragionare su come
si viveva a quei tempi per capire meglio. Al gusto della
parola scritta, incoraggiandoci con temi arditi per i tempi a scavare
dentro di noi. E a me personalmente insegnò, senza volerlo, che se
sposi una donna che non ami, poi rischi di vivere di rimpianti tutta
la vita.
Non stupirà quindi che al
Professore gli ho sempre voluto un gran bene che ha sempre ricambiato
al netto anche nei lustri che vennero. E sin quando non è morto,
anche se potevano passare anni, se andavo a trovarlo mi accoglieva
con grandi sorrisi e un'emozione palpabile, che era una roba che non
solo mi piaceva, ma mi lusingava.
Si complimentava per i miei
report dall'Africa che leggeva nel seguitissimo mensile della vallata
un po' per darmi sorridendo un bel voto quando mi avrebbe incontrato,
e un po' per sognare un mondo che il suo agio e benessere non gli
avevano mai concesso. Mi chiedeva sottovoce come erano le negre
a letto con interesse e con sguardi bonariamente invidiosi, e poi
arrossiva quando l'aggiornavo su mio figlio cappuccino di 5
anni che quella negra di sua madre aveva partorito malgrado il
mio amore e un po' di disappunto e poi, scusandosi con uno sguardo
vero, tornava a incoraggiarmi a dare il meglio di me e a non
deluderlo stringendomi forte
il braccio e fissandomi quasi commosso, che penso sostituiva nel
gioco dei ruoli un abbraccio tra galantuomini che giusto dieci anni
fa veniva percepito come inopportuno.
Un uomo d'altri tempi,
si direbbe oggi.
-Pierino di Applicazioni
Tecniche, che ci insegnò ad usare il seghetto e il compensato e ci
spiegò con tanto di esperimento come funziona una dinamo e che cos'è
l'AC/DC.
Anche se diversi anni dopo
scoprii che non era stato troppo sincero trattandosi non solo di fili
da collegare nel modo giusto sennò ci rimani appiccicato, ma
di una delle più grandi rock band del pianeta e universi limitrofi.
-Quella di Disegno. Che era
eterea, angelica, sinuosa, delicata come un cristallo, bella come le
dame di una volta con i lunghi capelli neri e poco trucco e, per la
gioia dei più che ci volevano provare, zitella benestante per
davvero (anni dopo passai ad Anghiari a trovarla quando il tempo
aveva spinto me in giro per il mondo e lei verso delle rughe che mal
celavano i rimpianti, e viveva in una villa signorile e fu
felicissima di vedermi).
-Spina, quello di Musica,
che ci insegnò il do-do-sol sol-la-la-sol con il flauto e poco altro
ma era simpatico davvero anche se, e si vedeva, oramai preferiva un
bel piatto di carbonara ad un fraseggio dell'oboe di Mario Arcari.
-Il prete del paese per
l'ora di religione, che era così grasso che lo faceva sudare persino
parlare e che faceva a gara con noi a chi era più scoglionato
durante la sua unica (per fortuna) inutile ora di minchiate.
-Di matematica, giuro, mi
ricordo solo che era un quello. Poi il buio.
-E per finire il mitico
professor Zavagli di Ginnastica (detta anche, come cultura fascia
comanda, Educazione Fisica), che dato che con lui ti divertivi e
basta, era il più amato di tutti.
E lo Zavagli mi ricorda due
aneddoti nitidi ed abbondanti che vado a emancipare.
Il primo. Non so oggi come
funziona con voi intelligentoni, ma ai miei tempi nelle scuole medie
si svolgevano i Giochi Della Gioventù, che si basavano su
prestazioni per lo più di atletica. Lo so che può far quasi ridere
parlare di queste cose ma a quei tempi una medaglia lì ti poteva
cambiare la vita.
Personalmente in tre anni ho
raccattato un misero bronzo nel salto in alto e poco più.
Tra le tante discipline
c'era anche il lancio del peso, che chiaramente era rivolto ai più
muscolosi e forti.
Ricordo ancora quando lanciò
il mitico Occhio, che era figlio di agresti ed aveva un fisico molto
sviluppato per l'età e una forza fuori dall'ordinario. Il suo lancio
fu da record.
Lanciò il peso davvero
lontano. Troppo.
La bestia fatata volle che
in quel preciso momento passasse di lì una ragazza che doveva
partecipare ad una corsa dall'altra parte del campo. La centrò in
pieno nella tempia.
Quando stramazzò a terra
tutti pensarono che era morta. Ho nell'archivio fotografico dei
ricordi lei inerme con gli occhi girati.
Ci fu un panico totale.
L'impreparazione dei professori ad un opzione così spaventosa e
forse neanche messa tra le variabili possibili, i mezzi di soccorso
non certo rapidi ed efficienti come oggi, la paura e il caos tra gli
alunni. Furono momenti davvero drammatici.
Ricordo che nei giorni
successivi giravano tutte le voci possibili sul suo stato.
Di sicuro era in coma e si
doveva aspettare. Ma alla fine tutto andò bene.
Non morì ne riportò
deficit.
Anzi, diventò persino
eccentrica e negli anni della fricchettonaggine che ci
accomunò si fidanzò con tale Enrico di Firenze, che era un tipo
simpatico, capellone, fricchettone a palla, scannarolo e che suonava
la chitarra con un gruppo di scappati di casa come me e lui, che
eravamo buoni amici e in ottimi rapporti, ai quali organizzavo
concerti di poco successo nelle mie zone. Quel gruppo si chiamava
Vidia e Blow Up era una ballad che adoravo e ancora oggi canticchio
sotto la doccia.
Va da sé che dieci anni
dopo tale Enrico di Firenze, tra una percezione e un bada lì,
intendendo di me sbarbotto da nulla e di getto di Enrico più lucido
sul pezzo ma a coprirci le spalle un libanese giallo che a quei tempi
piegava i ginocchi ai berberi, è diventato Enrriquez della
Bandabardò.
Un'altra si collega sempre
ai Giochi.
Quando eravamo in terza, per
la prima volta, fu inserito tra le discipline anche il calcio.
Giubilo totale. Sogni di
gloria a nastro e problemi nuovi ancorati a quelli vecchi da
risolvere.
Il primo. In quella scuola
andavano gli alunni di due paesi confinanti che si odiavano senza se
e senza ma. A nessuno passava neanche per l'anticamera del cervello
di sporcarsi con quegli infami dei vicini.
Così fu deciso che si
sarebbe disputata una partita tra due squadre del medesimo istituto
per stabilire chi sarebbe andato poi a giocare la sfida Provinciale.
Nei bar dei due paesi non si
parlò d'altro per settimane tra probabili formazioni, tattiche e
pronostici.
Ricordo nitidamente che si
giocò di domenica mattina che si doveva finire prima della messa
delle 11 (una volta funzionava così) davanti ad un campo sportivo
gremito in ogni dove avvolto da una giornata primaverile limpida di
sole.
La nostra era una buona
squadra ed io ero il regista con
l'onore e l'onere della fascia di capitano. Ma anche loro avevano una
bella squadra. Li conoscevamo bene e loro noi dato che nei campionati
giovanili ci eravamo già scannati diverse volte in derby infuocati.
Fino
all'80esimo la partita non si sbloccò. L'equilibrio regnava ma
l'ipotesi di andare ai rigori avrebbe favorito loro che avevano un
portiere molto bravo.
E poi
successe. Lo ricordo come fosse ieri.
Presi
palla a centrocampo tirandola via dai piedi di Cinciuè, che era il
Gigi Maroni degli avversari e che purtroppo è morto già da tanti
anni, scartai due difensori in scioltezza e mi ritrovai sulla linea
di destra della loro area in velocità e con la palla sul mancino, il
mio piede buono.
Tirai
una bomba. E quella andò a infilarsi precisa sotto il set.
Vincemmo
1-0 e fui portato in trionfo dai miei compagni.
Il
giorno dopo a scuola eravamo tutti belli gonfi
e goliardici fino alla nausea con i cugini dalle orecchie basse, le
bimbe ci fantasticavano come i cavalieri di Re Artù di ritorno dalla
battaglia e il mondo ci sorrideva benevolo facendoci sognare un
futuro radioso.
Finché
non arrivò il professore a darci la tremenda notizia.
La
formazione della prossima partita, che era decisiva e che si sarebbe
giocata in campo neutro nelle zone del basso aretino, sarebbe stata
selezionata tra i giocatori dei due paesi.
Panico
totale. La reazione fu scontata e pure prevedibile: banchi e
armadietti usati come barricate, molotov e cimose che volavano in
ogni dove, bestemmie a grappolo e slogan contro il potere costituito
con cariche e lanci di fumogeni dei celerini accorsi in tenuta anti
sommossa.
Ma alla
fine vinse il professore. E tutti ingollammo il rospo.
E devo
ammettere che venne fuori una gran bella squadra.
L'incontro
si giocò vicino ad Arezzo in un campo infame che penalizzò la
nostra tecnica nettamente superiore alla squadra avversaria, ma il
supporto di due paesi che si presentarono in blocco a incoraggiarci
fece la differenza. Vincemmo 1-0 e staccammo il biglietto per andare
a giocarci in quel di Firenze contro una media di Pistoia il titolo
Regionale. E quando il professore ci disse dove avremmo giocato
quella partita non credemmo alle nostre orecchie:
Nel
centro sportivo di Coverciano. Campo centrale.
Mi
sentivo già il nuovo Antonioni e mi sognavo a guidare duetti costosi
vestito di lusso.
La
prendemmo tutti troppo sul serio. Persino il professore che pianificò
tutta una serie di allenamenti non contemplati e si mise a parlare
come Arrigo Sacchi un po' con tutti.
Il
giorno che entrammo a Coverciano ce l'ho ancora stampato negli occhi.
Campi
ricoperti di manto erboso perfetto e con le linee fatte
dritte. La nazionale russa che
si allenava nel campo adiacente al nostro. Palloni di cuoio veri
in ogni dove a disposizione di tutti.
E poi
gli spogliatoi. Sembravano la reggia di un Marajà.
Ridete
ridete.
Ma
provate a immaginare una ventina di ragazzotti di campagna abituati
agli spogliatoi del paese dove se non eri un pò furbo facevi di
sicuro la doccia fredda, che quando era domenica ti toccava un po' di
the caldo se non eri tra gli ultimi, che l'olio canforato te lo
compravi se lo volevi usare e il massaggiatore era una figura che
vedevamo a 90° minuto la domenica e morta lì, fateli entrare in uno
spogliatoio grande come un albergo dove ognuno aveva il suo
armadietto, sedia e lavandino per lavare le scarpette, dove c'erano
una ventina di docce allineate che sparavano acqua bollente, come fu
subito accertato dal figlio del trombaio che stava sempre in panca ma
di quelle cose ci capiva, con un tavolino pieno di roba da bere
fumante e da mangiare allettante e, udite udite, finanche la piscina.
E quindi
capirete perché i livelli di dopamina sfioravano l'orgasmo.
Fu la
piscina in particolare che ci fregò con il senno di poi.
Sognare
di buttarsi in vasca dopo la partita ci deconcentrò un po' a tutti.
L'altra
squadra era fortissima. Erano grossi e avevo volti sicuri.
C'erano
tre che gravitavano nelle nazionali giovanili e venivano indicati
come futuri professionisti e avevo i massaggiatori che li preparavano
mentre noi ci scaldavamo intimiditi su e giù per il campo che ci
fecero sentire a tutti proprio degli sfigati.
Ma
combattemmo con il coltello tra i denti e vendemmo cara la pelle.
Alla
fine perdemmo 1-0 per un gollaccio al 90° grazie ad una clamorosa
papera del nostro portiere, il Bentivoglio. E non è certo un caso
che ancora oggi quando lo incontro, di rado per fortuna perché è
veramente insopportabile, scopro che mi sta sulle palle pari pari
come allora.
E non ci
fecero nemmeno riempire la piscina, quelle merde.
Ma
torniamo alla peculiarità crismica del fare scolastico.
Stavano
arrivando gli esami finali e l'eccitazione era palpabile in ogni
dove.
Il balzo
in avanti che stavamo per fare ci avrebbe proiettato nelle scuole dei
grandi, mentre i brufoli abbrutivano i visi masti e la
mascolinità creava goderecci pruriti al basso ventre mentre le bimbe
iniziavano a fare i conti con quel fantastico regalo evoluzionistico
che è il mestruo e tette di tutte le misure fiorivano in una
costante escalation a volte con imbarazzo ma più spesso con estrema
disinvoltura e ammiccamenti. Con il contorno delle BR che
sequestrarono Moro.
Ma io,
malgrado tutto questo bailamme, ero concentratissimo solo ed
esclusivamente sullo studio.
Adoravo
studiare.
I miei
erano sempre fuori casa quindi potevo dedicarmi ai libri senza
sentire litigate, paternali e nervosismi che mi deconcentravano e
impermalivano. Avevo le idee chiare su cosa avrei preparato e
presentato all'esame, dove i professori mi dettero campo libero
di portare cosa volevo, tutti sicuri -io un po' meno a dire il vero-
che sarebbe andata benissimo.
Andò a
finire che preparai quegli esami come un piccolo Pennac degli
Appennini.
Ricordo
come una visione che dopo i risultati degli scritti, che io non
conoscevo ma intuivo dagli sguardi benevoli del Professore e gli
altri, quando affrontai gli orali c'erano tutti, dico tutti, gli
insegnanti dell'istituto. Alcuno è ancora vivo quindi può
confermarlo.
Spaziai
dalla storia egizia spiegando Piramidi, Sfinge e l'importanza del
Nilo e spostai con un balzo la faccenda sulle centrali
elettriche e il loro funzionamento, tirai una disquisizione sul
Cavaliere Dimezzato che quasi avrei potuto riscriverlo lì,
poi passai agli Unni e a tutti i Barbari, che mi garbavano parecchio
di più dei Romani che eran sempre inquadrati e vestiti uguali e ti
facevan venire due palle così mentre loro erano sempre selvaggi,
incazzati neri come piace a me e con i capelli lunghi che io
sfoggiavo già all'asilo, e la finii in un crescendo mozartiano con
la Divina Commedia che fu l'argomento a piacere, dando persino
le spiegazioni su cosa voleva dire Dante, e recitai estese
quartine dell'Inferno in scioltezza come cantassi Furia Cavallo del
West nello strabilio totale.
Mi
dettero il massimo dei voti chiaramente: Ottimo.
Come
al figlio -raccomandatissimo e consapevolissimo del privilegio e
molto saccente nella sua inutile intoccabile illibatezza- di quella
merda del nuovo maresciallo dei caramba, che già mi aveva
puntato con l'obice, e fui indirizzato senza se e senza ma verso il
liceo classico, ancor poco consapevole e con poca immaginazione che
la bestia buona che dimorava in me stava uscendo dal
letargo per pretendere oboli in dolore, fiorini metafisici e, più
che altro, ruggiti che dovevano annientare tutto e tutti.
Indistintamente.
Chiaramente non andai al
Classico e men che meno allo Scientifico.
Lì ci andavano tutte le
ragazze con l'astuccio e i capelli perfettini e gli sfigati ed
io ma manco per niente.
Scelsi Ragioneria.
Semplicemente perchè ci
andavano tutti i miei compagni della squadra di calcio, solo per
questo.
E non fa più notizia che
ero nella sezione A e che per il primo semestre fui un'eccellenza
della classe.
Ma la bestia buona
oramai aveva trionfato, ed io mi adoperai per assecondarla su tutto
anche se all'inizio ci cascai nella trappola della scuola come dovere
essenziale e istituzionale pari
a una pera.
Ma
oramai la pera stava arrivando alla frutta,
e comunque di sicuro era cotta.
Così mi impegnai studiando
inutili e mistificatorie lezione di Storia che ci ha raccontato
cazzate immonde -tipo la scoperta dell'America-, che in realtà
altro non è stato che un atto di guerra e invasione contro popoli
che erano nati e vivevano lì pacificamente o scannandosi tra loro da
secoli.
Accettato di studiare
e far sfilare come eroi gente che erano solo assassini, sterminatori
e stupratori come Velasquez ed il suo esercito con il codazzo di
missionari che in dieci anni
hanno annientato culture come quelle Maya e Inca che prosperavano da
un'eternità. E includere, al culmine dell'indecenza, quell'altro
sicario di popoli col nome a cazzo di cane, Cook, che scoprì
invece l'Oceania importandoci violenza, avidità e sifilide -roba da
caucasici che fino ad allora erano sconosciute alle popolazione
autoctone- per trasformarla in un penitenziario anglofono, depredarla
di tutto e passare poi da prode in patria nella mezzadria di saccenza
e voluttà.
Feci finta persino di bermi
la buggera che i Medici erano dei benefattori e fatta grande
Frittole, quando in realtà sono stati solo dei perfidi usurai malati
di potere come un nano qualunque e che quel Duomo, il Davide
-quello finto e quello vero, che poi son spicciccati uguali- e altre
splendide e univoche bellezze della mia città d'adozione,
erano soltanto l'altra faccia della medaglia di un potere
sanguinario, laido e vigliacco.
Mi toccò pure bere come una
birra sgassata, nel silenzio inconsapevole di tutti, che Achille era
un mezzo dio guerriero quando invece era solo un altro omicida che si
incaprettava a vicenda col cugino.
Ma questo non si doveva
sapere e men che meno dire perchè nei libri non c'era.
E scoprii che affermare che
Michelangelo era un genio portava un ottimo voto.
Ma affermare che era anche
un convinto pedofilo ti faceva spedire dritto dal preside con una
bella sospensione e il dileggio catto-comunista di istituzioni senza
un briciolo di dignità.
Detti persino soddisfazione
a quella demente di Geografia, la Casi -che a dargli della demente
gli facevi pure un complimento- e studiai tutte le cazzate che anche
lì andavano come il pane, imparando inutilmente quanti abitanti
contava Caracas allora e che c'erano il Polo sut e supr, ma impedendo
alla fessa di cui sopra di inculcare nella mia mente il concetto di
confini.
Tanto
che poi, quando da bravo ragazzo diventai in tre giorni un
drogato, litigammo di brutto appena provai a porre il dubbio sul
perchè nei paesi caucasici i confini erano strambi e contorti,
quando invece nei paesi del Medio Oriente eran tutti asettici
quadrilateri. Chiaramente non seppe rispondermi, ma capì che io
conoscevo la risposta, e si infuriò usando quel patetico potere che
il ruolo le concedeva.
Da quel
giorno in poi lei entrava in classe per la lezione ed io uscivo a far
due ore di chiacchiere con il mitico bidello Nottoli. Un grande
piccolo uomo, tra parenesi.
Con la
Tafi, quella di Italiano, non ci fu invece nessun problema.
Con lei
mi trovavo molto bene e ancora oggi penso che per quegli anni
veleggiava con concept di studio molto avanguardistici e riconosco
che mi ha aiutato -e tanto- ad avere più consapevolezza delle mie
capacità e a fidarmene sopratutto.
Una
brava donna, intellettuale sul serio e di famiglia agiata, senza i
pruriti del classismo e che amava il suo lavoro e i pischelli che si
ritrovava in classe. Indistintamente.
La porto
nel cuore, a differenza di quella ciofeca di depressi che era la
ciurma dei cosiddetti professori.
Con
quello di inglese invece, il Pierotti -che cito con degno disprezzo-,
ci litigai subito portandomi avanti con i lavori. Un uomo matupito
dagli eventi della vita e della prostata che ci trattava a tutti come
gli asinelli del Paese dei Balocchi per principio.
Infatti
con lui non ho imparato una parola di inglese.
L'ho
imparato poi da solo, quando mi ritrovai a viaggiare in India con un
piccolo vocabolario, e perfezionato poi in Kenya dove ho imparato
pure a scriverlo.
Perchè
di punto in bianco ero cambiato diventando da bravo ragazzo un
tipetto da manette?
Si
chiesero tutti, compresa la santa donna oramai rassegnata.
Perché era successo
qualcosa. Chiaramente.
Un qualcosa che aveva
tre nomi: la Conoscenza, la Gnocca e i Rolling Stones.
Anzi quattro, dimenticavo le
Canne.
Ma nel prossimo capitolo
approfondiremo il tutto.
Andò a finire che fui
bocciato con tutte insufficienze, anche ad educazione fisica dato che
non mi ero mai presentato ad una lezione, a parte, -chiaramente- un
bell'otto in italiano che la diceva tutta.
Un mese dopo mi ritrovai
alle sei del mattino davanti al bar del paese con altri quattro
bischeri come me ad aspettare il pulmino che ci avrebbe portato in
una cementeria vicino a Firenze dove avrei iniziato a far finta di
essere un metalmeccanico. Tenendo nella mano destra, quella balorda,
la borsa con la garitta di pasta già stracotta e la braciolina sotto
pari ad una suola di ciabatta, e nella sinistra, la mano buona e con
una presa ben sicura, Teresa Batista è stanca di guerra.